Più di quaranta anni fa, prima il Massachusset Institute of Technology(MIT) e poi il Club di Roma pubblicarono un volume sui “limiti dello sviluppo”.
Ben poco hanno però insegnato i disastri ambientali, quali quello di Bhopal (India), Seveso e Chernobyl (Ucraina) ed anzi si continua costantemente a consumare le risorse naturali, molte delle quali necessitano per rigenerarsi di tempi incompatibili con i nostri ritmi di vita.
I dati sull’ impatto negativo prodotto dall’ incontrollata azione umana provengono da studi di esperti. Tra questi va citato l’ IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) dell’ ONU. Questo gruppo si occupa di analizzare i dati sul cambiamento climatico e sull’ impatto socio- economico che comporta. A tal fine, ha prodotto due elaborati, uno più specifico destinato alla comunità scientifica ed uno più semplice indirizzato agli uomini politici.
Già nel 1990 ci si rese conto che si stava verificando un aumento della temperatura media globale tra 0,3 e 0,6 gradi centigradi.
Tra tutti i rapporti, spicca l’ultimo, il quale presenta dati catastrofici, degni del migliore romanzo di Stephen King. Ad esempio, l’esponenziale aumento della temperatura che nel 2030 toccherà il grado e mezzo, non sarà affatto positivo, poiché non renderà più mite il clima di certe città in cui “si gela”. Si verificheranno con maggiore frequenza (come in parte già avviene) eventi climatici estremi anche in zone fino a poco tempo fa caratterizzate da climi miti (come ci dimostrano le ondate di calore estremo e le i siccità nel Nord Europa; i mini tornado nelle aree del Mar Adriatico, etc…).
Eventi di tale portata andranno a discapito anche di quelle multinazionali del campo alimentare che paradossalmente contribuiscono all’ inquinamento, consumando risorse idriche, disboscando, adoperando imballaggi di plastica e consumando le risorse idriche.
Noi giovani non siamo qui per dare lezioni puramente teoriche o per essere considerati “professoroni” ,ma è giusto e necessario ascoltare gli scienziati che da tempo, senza alcun interesse economico, presentano e lanciano allarmi, invitando i “potenti” ad invertire la rotta e tutti noi a prendere coscienza della tragica situazione in cui versiamo ed a compiere scelte di vita sostenibili. Con la conferenza di Rio de Janeiro già dal 1992 ci si è globalmente mossi ed interrogati, per ricercare una soluzione definitiva a questo enorme problema. Alla presenza di capi di stato ed organizzazioni non governative, fu varata la Convenzione Quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici. Conseguentemente le delegazioni presenti hanno deciso di riunirsi annualmente nelle COP (conferenze delle parti). Tra le più importanti, spiccano quella di Kyoto del ’97, da cui scaturì il protocollo omonimo e la COP 21 di Parigi del 2015, il cui obiettivo era di contenere la temperatura entro un grado e mezzo ed ogni paese presentò una strategia di riduzione dei consumi; gli USA ad esempio (prima di uscire dall’ accordo) quella di ridurre le emissioni di un quarto.
Gli accordi di Parigi presentano ancora oggi elementi di discussione, confluiti negli scorsi summit degli ultimi giorni nel Palazzo delle Nazioni Unite a NYC.
Tra gli obiettivi del summit vi è la riduzione a 0 delle emissioni, della produzione di rifiuti e del consumo del suolo; investendo sull’ economia verde e circolare che sfrutti risorse rinnovabili.
L’Italia e l’ UE hanno definito questi accordi cui hanno preso parte un “green new deal”.
A tal proposito è bene tener presente che l’Italia non è esente dalla crisi climatica: il 2018 è stato caratterizzato da 148 eventi climatici estremi di cui 66 alluvioni, 41 trombe d’aria, 20 esondazioni ed innumerevoli danni alle infrastrutture.
Questi eventi hanno gravemente pesato anche sulla nostra economia, la Coldiretti ha calcolato che gli sbalzi termici sono costati 14 miliardi alla nostra produzione agricola.
C’è davvero bisogno di questo “green new deal”; la Fondazione per lo sviluppo sostenibile ha
calcolato che, distribuendo nel tempo 190 miliardi in investimenti per la produzione sostenibile, si ricaverebbe un utile di più di 600 miliardi. Una nuova politica deve porsi obiettivi a lungo termine ma anche immediati, da un lato perché gli effetti devastanti delle scelte del passato appaiono sempre più evidenti, dall’altro perché anche scelte recenti rischiano di tramutare in proclami il green new deal.
Per esempio Brindisi, che è allo stesso tempo area ad elevato rischio di crisi ambientale e sito di interesse nazionale ai fini della bonifica, è l’esempio palese delle contraddizioni. Si pensi soltanto al fatto che mentre le fonti rinnovabili e l’ efficientamento energetico vengono dichiarati punti cardine del green new deal, in questi giorni il Ministero dell’ Ambiente ha in esame due progetti di Enel ed A2a per alimentare a metano due nuovi impianti termoelettrici.
La decarbonizzazione non è semplicemente l’uscita dal carbone, ma dai combustibili fossili, metano compreso: carbon free vuol dire uscita dalla combustione del carbonio e non semplicemente del “carbone”.
Dobbiamo dunque chiedere al nuovo Governo di riportare in Parlamento la dichiarazione nazionale di emergenza climatica, bocciata soltanto qualche mese fa, di rivedere il piano di transizione energetica e il “capacity market” (soltanto l’ Italia e la Polonia hanno deciso di puntare sul gas come fonte di transizione), contemporaneamente prevedendo incentivi per le fonti rinnovabili e non per il gas (1,4 miliardi all’ anno destinati assurdamente a questo combustibile fossile), per la green economy, la chimica verde, le start up innovative e le buone pratiche, sanzionando o tassando le produzioni e le attività ed i mezzi di trasporto ad alto impatto ambientale e clima alteranti.
Al governo ed alle istituzioni interessate si chiede di rigettare i progetti di Enel e di A2a e di chiedere un piano di investimento ad alto valore aggiunto, anche occupazionale su fonti rinnovabili e sull’ economia verde: sono questi impegni e queste decisioni immediate che possono dare sostanza ad una efficace dichiarazione di emergenza climatica e ad un vero green new deal.
Con ciò si risponderebbe nei fatti all’osservazione di Papa Francesco di pochi giorni fa sulla distanza che resta fra impegni politici dichiarati ed obiettivi concreti in difesa del clima.
Legambiente Brindisi
a cura di : TOMMASO MARINAZZO, 19 anni, STUDENTE