Nella settimana in cui il Carnevale quest’anno inizia, facciamo un salto nel passato: torniamo indietro per parlare, a distanza peraltro di poco tempo dalla scomparsa del suo autore, di Mistero buffo (Einaudi), il più noto degli spettacoli di Dario Fo, manifesto di una nuova maniera di intendere il teatro, di farlo e di rivolgersi al pubblico.

dario fo

L’accostamento con il Carnevale viene dall’elemento fortemente grottesco e dissacrante che caratterizza lo spettacolo e – prima ancora – la parola che oggi ci è dato leggere su pagina, nel solco dell’origine attribuita alla celebrazione carnevalesca: sin dall’antichità più remota era quel momento che – seppur per un breve periodo – consentiva il sovvertimento di ogni ordine costituito, il rovesciamento delle gerarchie sociali, la dissolutezza, lo scherzo, ma che conteneva in sé anche le premesse per un nuovo inizio, per una ripresa del tempo primordiale e, con l’avvicinarsi della primavera, una rinascita. Gli episodi di Mistero buffo, così moderni pur nel recupero di narrazioni antiche, legate alla tradizione religiosa e alla Storia, si animano della presenza di matti, ubriachi, giullari che, attraverso il registro della comicità, mostrano come il teatro possa credere nella modificabilità del mondo e nella forza della parola. Sarà Gesù nell’episodio La nascita del giullare a trasformare un contadino piegato dalle avversità della vita proprio in un giullare, ovvero colui che prende la rabbia dal popolo per ridarla al popolo e che con il suo racconto corrosivo «dileggia il potere e restituisce dignità agli oppressi», come riconosciuto dall’Accademia di Svezia nelle motivazioni del Premio Nobel a Dario Fo nel 1997.
Buona lettura!

Diana Politano

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