Ho letto con molta attenzione la nota diffusa dal Comitato Salute Pubblica di Brindisi circa le sollecitazioni rivolte ai rappresentanti istituzionali regionali e locali, che hanno partecipato alla conferenza dei servizi presso il Ministero dell’Ambiente per l’approvazione della nuova AIA alla Centrale Federico II di Brindisi.

Non vi è dubbio che l’argomento, puntualmente, richiama gli interessi  legittimi di chi, da una parte intende salvaguardare il territorio dai danni alla salute e all’ambiente e dall’altra di chi si preoccupa anche di tutelare una economia fin troppo legata alla presenza di insediamenti industriali. Si aggiungono, poi, le sterili polemiche e critiche populistiche di chi non è soddisfatto – senza proporre valide soluzioni – dell’operato della Sindaca di Brindisi che, per la prima volta, è bene ricordarlo, ha battuto i pugni sul tavolo contro il colosso energetico.

L’enel molto probabilmente  otterrà la nuova autorizzazione integrata ambientale (AIA) che gli consentirà di utilizzare l’impianto senza dovere più confrontarsi con gli Enti Locali. Nessun ordine del giorno, delibera, interrogazione o altro atto locale potrà modificare le modalità di esercizio della centrale Federico II senza l’assenso di enel (almeno fino a quando saranno rispettate le prescrizioni previste dall’AIA).  Qualsiasi intervento, comprese le apprezzabili iniziative di alcuni senatori e deputati del territorio – tra questi  il Sen. Zizza, nella veste di vice presidente della Commissione Ambiente al Senato -, potrà ridurre l’utilizzo del carbone se enel non è d’accordo. Praticamente enel ha la patente per condurre l’impianto così come ha voluto e, salvo gravi  infrazioni, difficilmente gliela si potrà ritirare.

E mentre noi continuiamo a invocare nuove convenzioni,  a chiedere la riduzione del carbone, ristori per il territorio e sconti sulla bolletta per le famiglie e le imprese, in altre realtà che ospitano centrali elettriche alimentate a carbone sono riusciti in poco tempo  a trovare soluzioni di convivenza che salvaguardano la salute, l’ambiente,  le aziende e i livelli occupazionali.  Perché altrove è possibile e da noi no?

A questo interrogativo ognuno è libero di rispondere come crede.

Però stiamo attenti anche a non tirare troppo la corda. Che piaccia o no la presenza delle centrali assicura una economia reale a migliaia di famiglie e garantisce la sopravvivenza a centinaia di imprese locali; in una situazione di crisi senza precedenti  forse dovremo riflettere bene prima di  mandare sul patibolo chi, in ogni caso, continua a garantire lo stipendio a migliaia di famiglie.

Non oso immaginare se questo territorio dovesse trasformarsi da area ad alto rischio di crisi ambientale ad area ad alto rischio di crisi sociale. Sarebbe una tragedia. Giustamente Confindustria Brindisi e le Organizzazioni Sindacali manifestano legittime preoccupazioni.

Allora se veramente vogliamo continuare a lottare per salvaguardare il nostro territorio,  utilizziamo gli strumenti legislativi e non tardive, seppur lodevoli, iniziative o proposte che difficilmente potranno sortire  effetti.

E’ scientificamente provato che uno dei modi per ridurre l’utilizzo del carbone è quello di limitare l’emissione di CO2 e lo si può fare impedendo l’acquisto di ulteriori quote di CO2 nelle aree ad alto rischio di crisi ambientale che vengono messe all’asta da GSE (Gestore Servizi Energetici). Basti immaginare che se enel (e non solo) non potesse acquistare ulteriori quote di CO2, vi sarebbe una riduzione automatica del 15-20% di utilizzo di carbone.

Dunque: se il territorio brindisino è stato insignito della ignobile “onorificenza” di Area ad alto rischio di crisi ambientale,  qualcuno dovrà spiegare perché si continuano a rilasciare autorizzazioni ministeriali che consentono l’immissione in atmosfera di sostanze nocive con concentrazioni più elevate delle attuali? Perché le osservazioni mosse dalle varie amministrazioni locali non vengono recepite dalle preposte commissioni ministeriali?  Delle due una: Brindisi non è più considerata area ad alto rischio di crisi ambientale e quindi andrebbe revocato il decreto, oppure Brindisi non è più considerata……………….

Non resta che invocare l’intervento dei Parlamentari del nostro territorio affinché presentino una proposta di legge (cosiddetta leggina), chiedendo che sia assegnata alla commissione ambiente in sede legislativa,  composta da un unico articolo che, sommessamente, mi permetto di suggerire:

Articolo 1

  1. Ai Gestori di impianti industriali che immettono in atmosfera gas effetto serra, come da direttiva 2003/87/CE e successive modificazioni e integrazioni, se gli impianti sono ubicati in territori decretati  Area ad Alto Rischio di Crisi Ambientale, ai sensi del DPR 23 aprile 1998, è fatto divieto di acquistare ulteriori quote di CO2 messe all’asta dal Gestore Servizi Energetici (GSE).
  2. Per tutti gli impianti industriali ricadenti nei territori decretati Area ad Alto Rischio di Crisi Ambientale per i quali occorre rilasciare, rinnovare e/o integrare l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), è fatto divieto di incrementare, rispetto alle precedenti autorizzazioni, l’immissione in atmosfera di fumi con concentrazioni di CO2 – SO2 –Nox. L’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) è rilasciata, rinnovata e/o integrata solo per gli impianti che utilizzano le migliori tecnologie disponibili sul mercato (BAT – Best Available Technologies).

Per quanto mi riguarda ho già interessato Il Sen. Vittorio Zizza e l’On. Nicola Ciracì affinché si adoperino per  formalizzare la proposta di legge. Sarebbe auspicabile che in questa circostanza tutti i parlamentari rappresentanti del territorio dismettessero la casacca identificativa dei rispettivi partiti politici per  affrontare questa importante partita con la maglia della Nazionale.

  Nicola   Di Donna (Già Presidente del Consiglio Comunale e della Commissione Sviluppo)

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