LETTERA ALLA POETESSA ALDA MERINI A 15 ANNI DALLA MORTE – di Davide Gigliola

Cara Alda,

mi piace pensare di poterti scrivere una lettera come si faceva un tempo, nemmeno troppo lontano, per dirti quanto sei importante e quanto manchi.

Sono passati già 15 anni da quando la morte ti ha portato via, tu che sei nata il 21 a Primavera e della vita hai scrutato tutte le sfaccettature, tu che sei stata incompresa durante il tuo “pellegrinaggio” terreno ed esaltata e ricercata subito dopo.

Ho difficoltà a sintetizzare quello che hai dato certamente con la tua poesia, ma anche con la tua stessa esistenza. Sicuramente hai attraversato la vita e i suoi tanti dolori, spaziando dal più intenso erotismo, attraversando amori squarcianti fino ad arrivare alle vette più alte della dimensione spirituale. Chi ti incontra non può restare immune al tuo fascino, perché sai arrivare fino alle profondità più recondite dell’anima. Chi entra nell’universo della tua poesia diventa un uomo migliore.

Così è stato anche per me, tu, che tanto assomigli a mia madre, la stessa pelle, la stessa determinazione e forza.

Non hai scritto poesie “banali”, e con tutto il rispetto per i bambini, infantili. Anzi le tue parole spesso sono scuotimenti, sono echi di nostalgie e desideri di speranza. Hai sintetizzato ed espresso un Dono immenso di cui abbiamo tutti desiderio. Nell’arsura dilagante anche oggi appari un’oasi dove riposare il cuore e la mente sfiancati. Sei capace di ridestare pensieri assopiti, di sgombrare “stanze” riempite da inutili presenze.

Sono trascorsi appena 15 anni da quando la penna che intingevi nel calamaio del Cielo non scrive più, il rossetto con cui appuntavi i tuoi aerei pensieri sui muri della tua casetta milanese è ormai secco… Come ogni morte inattesa e sperata lontana, vorrei dire anche per te: perché?! Perché ci hai lasciato in questo mondo così imbarbarito? Così incattivito e disumanizzato? Un mondo di cui anche tu hai conosciuto la meschinità e l’incoerenza. Un mondo che senza di te è più povero.  Però quel mondo lo hai attraversato, come fosse un tribunale, e sei sopravvissuta… e, in questo fiero passaggio, ho trovato in te tanto di me.

Il tuo testamento poetico rimane e resterà fonte viva di ispirazione e consolazione, non solo per me, ma per i tanti che vivono l’inquietudine della vita. Per chi da valore e senso alle parole e non le svilisce usandole e abusandole, a differenza di tanti che si improvvisano “poeti”, ma che con umiliante evidenza si mostrano semplicemente cantori della banalità e del nulla.

Resti una fonte dove nutrire l’anima e far elevare lo spirito, e mi permetto di definirti “maestra”, un titolo che credo non approveresti, ma decreta la solidità del tuo testamento, tu, che la parola l’hai dominata e donata, tu, che hai condiviso il solco della tua sofferenza impastandola con la malta della passione amorosa e con la mistica libera da orpelli.

In questo anniversario che certamente include anche un sentimento di nostalgia, prevale la gratitudine per quello che hai donato. La tua unicità è stata confusa con follia, la tua sensibilità per pazzia; contraddizioni di questo misero mondo, ma paradossalmente grazie a questa miopia, sei semplicemente Alda Merini: la più grande poetessa dei tempi moderni.

Nella difficoltà di scegliere quale poesia potessi rileggere in questo giorno, alla fine ho scelto La Terra Santa, immaginandomi in qualche modo un tuo figlio, tu, che come ti ha definito una delle tue vere figlie, sei diventata per giusto merito “madre dei discepoli”:

Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso tra la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.

Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso le messe,
le messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.

Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo,
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.

Ma un giorno da dentro l’avello
anch’io mi sono ridestata
e anch’io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita nei cieli
sono discesa all’inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.

(da “La Terra Santa” 1984)

 

Davide Gigliola

Foto e testo della poesia: https://www.aldamerini.it/

 

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