Vacanza. Una cena in un ristorante sul mare. Un’insegna e un nome, Luna e Gnac, che incuriosisce e che ti rimette in mano Marcovaldo di Italo Calvino (Mondadori). Nelle venti favole moderne di cui è protagonista, il manovale Marcovaldo racconta il mondo, la città, «i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza», applicando alle cose uno sguardo al contempo ironico, divertito, poetico e intimamente malinconico. Quella di Marcovaldo è la ricerca ostinata di elementi d’umanità nella vita cittadina, d’armonia autentica fra uomo e ambiente, di consapevolezza intorno alle lusinghe e alle aberrazioni insite nella nuova condizione di consumatori nel tempo del boom economico. Se la civiltà del consumo vede allungarsi su di sé ombre scure, resta impensabile rimpiangere l’idillio di un mondo dato per irrimediabilmente perduto: tuttavia Marcovaldo – aggirandosi tra le pieghe del vivere moderno col naso per aria, al ritmo dei cicli di natura e degli endecasillabi sparsi qua e là tra giorni grigi – ha indicato (e continua a indicare) a moltissimi lettori, grandi e piccoli, che a volte si può spegnere il GNAC (la parte visibile dell’insegna luminosa che sovrasta il tetto) per vedere apparire «dentro la voluta del gi la finestrina appena illuminata d’un abbaino, e dietro il vetro un viso di ragazza color di luna, color di neon, color di luce della notte» e il suo impercettibile sorriso, e navigare più leggeri al centro di noi stessi.
Diana A. Politano