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Andanza: questo il titolo del nuovo libro di Sarah Manguso, edito in Italia da NNE, e già la sola parola vale a evocare un movimento fluttuante, che si avvita intorno ai buchi neri di cui sono costellate le nostre vite e da lì riprende il suo corso. Nel libro – Ongoingness, il titolo originale – l’autrice tratteggia le ragioni del movimento tutto interiore che l’ha accompagnata negli ultimi venticinque anni, dal punto cioè in cui ha iniziato a tenere seriamente un diario. Una pratica, quella della scrittura, «quotidiana, o forse più che quotidiana», resa necessaria dal timore ossessivo di svanire nel nulla e di non riuscire a trattenere la pienezza dei giorni, dal bisogno di «evitare di perdermi nel tempo».

E dopo aver riempito decine di quaderni la cui reale natura è deliberatamente celata dalla voce «Trigonometria» in copertina, si arriva ad Andanza, compendio dei diari di un pezzo di vita, sintesi intimissima, strumento «per digerire il tempo che passa, per archiviarlo così da non doverci pensare più». Andanza è infatti la fine di un diario, è l’effetto di un movimento che ci impiega più di due decenni per chiarire che «i momenti dimenticati sono il prezzo della partecipazione continua alla vita, una forza indifferente al tempo». Nella vita di Sarah ci saranno un matrimonio, un figlio e quella manciata ineludibile di esperienze dolorose ad insegnarle che «il ricordo germoglia. Lasciato solo nel tempo, cresce» e riaffiora, e che «forse l’ansia deriva dal concentrarsi sugli istanti – dall’incapacità di accettare la vita come un’andanza, come un tempo continuo», del cui trascorrere sentirsi privilegiati. («Il privilegio di mettere la spunta alle cose. Di finire. Di sapere che sono finita, e che il tempo continuerà senza di me.») A noi lettori è data l’occasione di condividere con l’autrice una frazione del suo tempo, di sbirciare tra i suoni e le spire di un pensiero profondo e della sua «breve danza, per qualche istante, sullo sfondo dell’eternità».

Diana A. Politano

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