APPELLO SU COVID-19 E CARCERE indirizzato ai:
– Procuratori Generali della Repubblica presso le Corti
d’Appello
– Procuratori della Repubblica presso i Tribunali
– Presidenti delle Corti d’Appello;
– Presidenti dei Tribunali di Sorveglianza
– Presidenti dei Tribunali
La recente emergenza sanitaria legata all’epidemia da COVID-19 ha imposto l’adozione di misure eccezionali, giungendo da ultimo (art. 2 DPCM 10 marzo 2020 e DPCM 11 marzo 2020) al divieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico, ciò che costituisce una forte compressione di diritti costituzionalmente tutelati.
Tutte le misure adottate sono tese a limitare i rischi di contagio e dunque a evitare che si creino condizioni in cui le persone si trovino vicine e in condizioni di promiscuità.
Per tale ragione sono stati sospesi servizi essenziali, come le scuole e le università, oltre a tutte le attività nelle quali si possano generare occasioni di aggregazione di persone, come tutte quelle legate ad eventi culturali, ricreativi o sportivi;da ultimo tali misure sono state estese anche a tutti gli esercizi commerciali esclusi quelli di vendita e somministrazione di beni primari.
In questo quadro generale, desta agli scriventi, operatori del diritto, estrema preoccupazione la condizione nelle carceri, ove un numero elevatissimo di persone, di molto superiore ai limiti della capienza degli Istituti, vive in condizioni di promiscuità e in condizioni sanitarie precarie.
La recente emergenza sanitaria, al fine di limitare i pericoli di contagio dall’esterno, ha anche imposto l’adozione di misure come la sospensione dei colloqui parentali.
In considerazione della diffusione del virus, nonché della circostanza che quotidianamente gli Istituti penitenziari sono frequentati da moltissime persone che vivono all’esterno (dalla polizia penitenziaria ai dipendenti del Ministero della Giustizia, dai volontari agli stessi operatori legali), e che non può certo ridursi o evitarsi tale afflusso, nonchè del fatto che per quanto a conoscenza degli scriventi (e sulla base delle informazioni diffuse) il pericolo di contagio proviene anche da soggetti asintomatici, anche le misure adottate (autocertificazioni, uso di mascherine per gli avvocati, mantenimento della distanza di almeno un metro) non appaino idonee a scongiurare il rischio che avvengano contagi all’interno.
Appare, ancora, del tutto evidente che un contagio all’interno della popolazione carceraria avrebbe conseguenze drammatiche: le condizioni di sovraffollamento e di promiscuità renderebbero molto facile la diffusione del contagio nella popolazione detenuta; molti detenuti sono affetti da varie patologie, che ne debilitano il corpo, con conseguenti maggiori pericolo anche per la stessa esistenza in vita; un contagio non potrebbe essere unicamente affrontato con misure di isolamento dei soggetti che risultassero contagiati, atteso che stante l’attuale condizione nelle carceri ciò significherebbe concentrare in condizioni di estrema promiscuità i detenuti contagiati, con conseguente peggioramento delle loro condizioni, non impedendo al contempo la diffusione del virus, e non consentendo la somministrazione di adeguate cure di contrasto agli effetti del virus (contrasto che non può certo adeguatamente essere operato nelle infermerie interne agli Istituti penitenziari); l’esplodere del contagio nelle carceri, dunque, imporrebbe presumibilmente un aumento significativo del numero di ricoveri dal carcere, con conseguenti effetti anche sulla tenuta e funzionalità de sistema sanitario (già gravemente sollecitato dall’emergenza in atto).
Appaiono quindi sin da subito necessaria e possibile l’adozione di misure e indicazioni operative che, pur nel rispetto della discrezionalità del singolo giudice e magistrato e delle necessità d specialprevenzione, possano andare nella direzione di contribuire a mitigare i sopra ricordati rischi per la salute dei detenuti e pubblica.
Tra queste, gli scriventi evidenziano:
– un utilizzo estremamente cauto della misura della custodia cautelare in carcere, che sia limitata ai casi di effettiva estrema pericolosità, con richiesta (in caso di adozione di una nuova misura) o sostituzione (in caso di misure già in corso di esecuzione) di e con misure quali gli arresti domiciliari o l’obbligo di dimora, che consentirebbero di deflazionare la pressione sulla popolazione carceraria mantenendo però una limitazione alla libertà di circolazione dei soggetti;
– la sospensione della adozione e/o notifica di nuovi ordini di esecuzione per la carcerazione, quanto meno quando questo non sia imposto da considerazioni legate alla sussistenza di straordinarie esigenze, Ciò consentirebbe di ridurre il numero di nuovi ingressi nonché, nel caso di ordini di carcerazione con contestuale sospensione, di ridurre l’urgenza di proporre istanze di esecuzione della pena con misure alternativa (il che impone all’interessato di muoversi sul territorio al fine di predisporre la conseguente istanza; si pensi alla necessità di reperir documentazione, di incontrare un legale, di depositare l’istanza);
– la sospensione dell’esecuzione delle pene nei confronti di detenuti anziani e/o in precarie condizioni di salute, più esposti alle complicanze legate ad un possibile contagio;
– la concessione con procedure accelerate di misure alternative al carcere, quali la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova, in tutte le occasioni in cui ciò sia possibile ed anche in assenza di comprovato svolgimento di attività lavorativa personale;
– la sospensione, come già avvenuto in alcuni distretti, dell’obbligo di rientro notturno in struttura per i detenuti semiliberi, consentendogli di trascorrere la notte presso il proprio domicilio.
Queste, ed altre misure che appaiono attuabili già con la normativa in vigore, appaiono necessarie, in un momento di straordinaria gravità quale quello attuale, al fine supremo di salvaguardare il diritto alla salute ed alla vita dei detenuti e dell’intera collettività.