Ce ne dobbiamo fare una ragione: Il Festival di Sanremo è ormai diventato il vero altare della Patria intorno al quale celebriamo allegramente il rito della nostra irresistibile vena cantereccia. Al mandolino abbiamo sostituito la chitarra elettrica, ma poco cambia. Sa(n)remo anche un popolo di Santi, poeti e navigatori, ma soprattutto siamo un popolo di canticchiatori. In questi giorni, per strada, non fischiettano e cantano motivetti festivalieri solo i garzoni di panetteria e le brave donne delle pulizie, come da antica tradizione, ma anche compassati vigili urbani, serissimi signori in cappotto e cappello, “siure” in pelliccia (sintetica) che vanno a fare il loro shopping quotidiano e, nello Store, ingaggiano cinguettanti duetti con le brave commessine. Ieri ho visto il direttore della mia banca entrare nel suo box canticchiando e facendo un passettino di danza alla Ibrahimovic…
Cose ‘e pazze! La poderosa macchina da canto di mamma Rai ha ormai messo a punto una tecnica di avviluppamento totale che stringe e costringe il popolo italico a subire senza soluzione di continuità l’enorme pressione delle “Cinque giornate di Sanremo”, pianificate come un bombardamento a tappeto cui è davvero difficile sottrarsi. E, per il 2024, già si parla di estendere la kermesse a sette giorni, sempre sotto la direzione del dittatore Amadeus I e lo spalleggiamento dell’eterno Peter Pan Fiorello, bravo sì, ma fermo ad una frizzantezza da adolescente, anche ora che ha superato i sessanta. Musica, gag e show, questi i semplici ingredienti di una ricetta che accontenta i modesti palati del pubblico italiano. Se poi si aggiungono un po’ di cose costruite, un pizzico abbondante di polemiche, volgarità, zambrate, ecc, allora il piatto è perfetto. E intanto la Rai fa affari d’oro con gli sponsor, la pubblicità, i diritti, ecc. Questo è il catalogo, cari lettori, siamo pervasi dal demone della frivolezza e ci sta bene così perché, in fondo. “Sanremo è sempre Sanremo!”.
W L’Itala, viva le canzonette che ci aiutano a sopportare le amarezze della vita.
Gabriele D’Amelj Melodia
I TRETRE dicevano a mè me pare na strunzata.