Egregio direttore,
mi permetto farLe pervenire alcune riflessioni sulla politica italiana.
Da Liberale osservo che la politica sta assumendo un nuovo ciclo nel quale le posizioni estreme, dx e sx, perdono appeal ed il «centro» politico riacquista forza, valore, capacità di attrazione; una percentuale bassissima di cittadini che sono andati a votare (vedi le ultime consultazioni amministrative) si è espressa in modo diverso, attribuendo alla sx ed alla dx le proprie preferenze di voto; c’è da dire ad onor del vero che grazie a qualche formazione politica (vedi Calenda) le elezioni comunali sono andate come sappiamo soprattutto al secondo turno.
La politica continua a rappresentare se stessa, “vulnerabile”, come se fosse dominata dal duro confronto fra la Destra e la Sinistra, l’una contro l’altra, in un estenuante «conflitto di civiltà».
Il comune sostegno al governo, imposto dall’emergenza pandemica e dal vincolo europeo, non impedisce al Pd e alla Lega di scontrarsi quotidianamente. Anzi proprio l’impossibilità di far venir meno quel sostegno spinge gli antagonisti ad accentuare al massimo le loro differenze identitarie.
In queste condizioni non sembrano esserci in prospettiva spazi per una riaggregazione al centro della politica italiana, anche se, se ne sente l’assenza. Se dovesse chiudersi anticipatamente la parentesi del governo Draghi, secondo l’opinione prevalente, la polarizzazione destra/sinistra tornerà a dispiegarsi senza più ostacoli e il centro resterà vuoto, inesistente, come è ormai da molti anni. I sondaggi, danno per vincente una destra in cui le componenti più moderate appaiono deboli e subalterne.
La credenza popolare sino a quando si farà imbambolare dalle promesse, dai facili traguardi, dagli slogan insomma, appoggerà questo o quel partito di dx o di sx in conflitto; sembrerebbe come se il cittadino non perseguisse una visione politica personale, come se non guardasse affatto i programmi, come se non avesse un minimo di dignità e fosse attratto soltanto da una polarizzazione politica.
In queste condizioni le posizioni meno remunerative appaiono proprio quelle di centro. L’evoluzione politica è però una cosa più complessa, i sondaggi non possono anticipare quali alleanze parlamentari prenderanno forma prima e/o dopo le prossime elezioni. E tutto ciò vale anche se non si mettono in conto, avvento e ruolo, del governo Draghi e, dai suoi effetti, non è proprio possibile prescindere.
Man mano che passa il tempo diventa sempre più difficile definire «tecnico» questo governo. Nonostante il fatto che nella tradizione italiana “tecnico” sia sinonimo di «competente» e che la competenza sia una virtù che gli italiani, per lo più, sono poco propensi ad associare alla politica. Checché ne dicano le inconsolabili vedove del governo Conte, nell’opinione pubblica si è fatta strada la consapevolezza che l’attuale esecutivo unisca competenza e taratura politica.
Questo governo è a tutti gli effetti un governo centrista. Non lo è solo banalmente, perché, data la composizione della coalizione che lo sostiene, deve tenersi in equilibrio fra la destra e la sinistra. Lo è anche perché, fatti salvi gli effetti, più o meno falsati, delle inevitabili mediazioni quotidiane, le sue politiche tengono la barra al centro, si sforzano di unire interventismo statale selettivo e sostegno al mercato come alla iniziativa privata, una certa attenzione alle fasce più povere della popolazione e misure a favore dello sviluppo e della crescita. Chi accusa il governo Draghi di essere «liberista» non conosce il significato della parola, straparla.
L’azione neo-centrista del governo Draghi può avere successo oppure no. Se arriverà il successo — sotto forma, innanzitutto, di una sostenuta ripresa economica capace di durare nel tempo — ne uscirà rivoluzionata la politica italiana. Se le politiche di centro hanno successo, ne consegue che le posizioni centriste tornano ad essere politicamente appetibili.
Certo, sono in gioco anche altri fattori, c’è la disgregazione in atto dei 5 Stelle: il conflitto fra Grillo e Conte, Di Maio e Conte e tutti i già fuoriusciti, è una conseguenza della nascita del governo Draghi. Non sarebbe esploso se Conte fosse ancora a Palazzo Chigi. Un eventuale partito di Conte cannibalizzerebbe 5 Stelle e Pd ma difficilmente potrebbe catturare consensi altrove, oltre i propri confini: solo elettori 5 Stelle e Pd potrebbero votare per un partito composto da ex grillini.
Per un insieme di ragioni, insomma, se il governo Draghi durerà ancora a lungo, sino al 2023, e se la sua azione avrà successo, si apriranno, plausibilmente, vaste praterie al centro dello schieramento politico, lo stesso avverrebbe se Draghi dovesse essere eletto alla Presidenza della Repubblica ed una sua persona di fiducia prenderebbe il suo posto alla Presidenza del Consiglio.
È possibile che anche l’elezione del Presidente della Repubblica finisca per premiare, in Parlamento, movimenti trasversali e aggregazioni al centro, (vedi Forza Italia, Italia Viva, gli amici di Calenda, Europa +, Radicali, Cesa, gli amici di Toti, Lupi, Quagliarello, la Democrazia Cristiana, gli amici di Mastella, la Lega ed una frangia del gruppo MISTO. Bisognerà poi vedere se coloro che sceglieranno quella posizione, saranno anche capaci di esprimere in sede elettorale una leadership credibile e se sapranno federarsi, oppure, se sapranno solo beccarsi come i capponi di Renzo.
In politica non bisogna mai dire mai. Immaginiamo uno scenario che ricorda abbastanza da vicino ciò che un grande scienziato politico, Giovanni Sartori, chiamava «pluralismo estremo e polarizzato»: un centro occupato da un solo partito o da una pluralità di partiti che governano insieme e forze estremiste (sia di destra che di sinistra) all’opposizione. Non è uno scenario improbabile. Il successo delle politiche di centro del governo Draghi potrebbe avere l’effetto (collaterale, indiretto) di portare qualche beneficio elettorale a formazioni neo-centriste (siano esse guidate o meno dallo stesso Draghi). Basterebbe forse un quaranta per cento di consensi, o giù di lì, conquistato da una siffatta formazione per smentire la previsione popolare sulla inevitabile lotta senza quartiere fra la destra e la sinistra. I numeri parlamentari potrebbero favorire la formazione di una coalizione di governo che escludesse da un lato i Fratelli d’Italia e, dall’altro, i 5 Stelle, grillini sopravvissuti.. Un centro politicamente remunerativo diventa infatti una calamita, l’ago della bilancia. Non sarebbe comunque la prima volta nella storia delle democrazie parlamentari. Capita che cane e gatto, anche al di fuori di condizioni di emergenza, siano costretti a governare insieme. In Italia, per giunta, come è noto, i «valori» (soprattutto quelli politici) godono di una certa flessibilità.
Renzi, già da molto tempo, prefigura una forte aggregazione politica liberale e centrista; pare che il furbissimo toscano pensando proprio alla politica di Draghi, stia già prefigurando un’aggregazione politica forte di centro in cui lui stesso potrebbe essere
uno dei protagonisti di primo piano. Possiamo chiamarlo visionario, antipatico …., ma dobbiamo riconoscergli, attribuirgli, capacità ed intuizione politica.
Alcuni schieramenti che non hanno nulla a che fare con la tradizione liberale che si ostinano ad intestarsi quell’etichetta, seguono «l’opportunismo politico». Nel descrivere questa appropriazione, che procede da anni, c’è chi sostiene ci sia uno svuotamento di significato di termini come “liberali” – “conservatori” trascurando però una spiegazione che forse è ormai necessaria per via della tendenza: chi è davvero, liberale?
Un liberale è chi crede nell’uguaglianza dei cittadini, chi tutela la libertà individuale, chi tutela la proprietà privata, chi crede nella difesa dello stato di diritto, chi crede nella meritocrazia, chi crede nella laicità dello Stato, chi tollera la religione, chi sa che la sua libertà finisce quando inizia quella altrui. .
Un liberale in ambito economico di solito segue la dottrina liberista, quella basata sulla libera iniziativa delle imprese, sul libero mercato, sull’abbattimento delle barriere doganali e sulla riduzione al minimo dell’intervento dello Stato. Tuttavia, il liberismo e la sua declinazione novecentesca, il neoliberismo, sono una cosa diversa dal liberalismo: le prime sono dottrine prettamente economiche, la seconda una più generale dottrina politica che include la prima; deve solo essere capace di superare gli egocentrismi ed alcune forme di onnipotenza che pregiudicano l’empatia ed il sapere, rendendolo ridicolo e sprezzante agli occhi di chi l’ ascolta e lo frequenta; deve saper ascoltare, saper parlare, saper decidere, assumere le proprie responsabilità, dopodicchè si converga in una casa comune, rifletta sul fatto che alcuni sondaggisti ritengono che i liberali uniti potrebbero vantare alle elezioni parlamentari una percentuale pari all’ 8/10%.
Angelo Caniglia