SAN PIETRO VERNOTICO – Strano paese è l’Italia, strano popolo gli italiani.
Sono cinquant’anni che tutti coloro che a vario titolo studiano e scrivono della costituzione, ovvero esercitano a vario titolo poteri costituzionali, auspicano la riforma di talune parti della stessa che già all’indomani dal varo presentavano elementi di criticità. Il bicameralismo cd perfetto, la “debolezza del governo” rispetto ai poteri del parlamento, erano elementi che insigni giuristi come il Calamandrei ritenevano migliorabili.
Purtroppo la storia ha dimostrato che quelle criticità hanno inciso pesantemente nel funzionamento delle nostre istituzioni, governi deboli e brevi, crisi di governo a ripetizione, legislature troncate, trasformismo parlamentare, disegni di legge saliti su navette che hanno fatto la spola tra le due camere sino ad uscirne completamente alterati o non uscirne mai, ipertrofia della decretazione d’urgenza e del ricorso alla fiducia come armi improprie del governo per tentare di attuare il proprio programma. Ciò senza tacere degli insopportabili costi di organi inutili di rilievo costituzionale come il CNEL, e la necessità impellente di ridefinire i rapporti fra lo Stato e le autonome locali troppo sbilanciati sulle autonomie, complessi e costosi.
Per anni quindi tanti protagonisti della scena politica di questo strano paese, hanno tentato di porre la loro firma su modifiche della costituzione dirette ad eliminare dette criticità, fallendo però miseramente, affondati dai veti incrociati o meglio da biechi calcoli politici molto lontani tanto dallo spirito costituzionale quanto dal bene del paese.
Succede poi che un energico quarantenne si metta in testa di farla veramente e finalmente questa riforma.
La cocciutaggine dell’impavido e forse imprudente riformatore, fondando la propria azione di governo proprio sulla irrinunciabile spinta riformatrice, e scontando il solito strumentale e irresponsabile voltafaccia della destra, partorisce un sistema di regole fondamentali forse perfettibile, ma di sicuro idoneo a rendere questo paese meglio governabile.
Il famoso “combinato disposto con la legge elettorale” infatti consente di avere un governo forte e stabile e un sistema parlamentare più semplice e tendenzialmente monocamerale. Vengono tagliati organi (il CNEL) ed enti (le provincie) che rappresentavano un costo non più giustificabile. Vengono ridefiniti i rapporti fra Stato e regioni con una riappropriazione in capo allo Stato dell’imprescindibile funzione di indirizzo, e, soprattutto, di semplificazione e pianificazione dei livelli dei servizi e dei relativi costi.
E’ questo un attentato alla democrazia?
Tutti i maggiori paesi del mondo, tutte le democrazie più progredite (U.S.A., Gran Bretagna, Germania, Francia ecc..), hanno regole istituzionali che consentono di avere governi forti. La democrazia funziona quando il corpo elettorale ha il potere di scegliere con il voto da chi farsi governare sempreché chi sia stato scelto, abbia poi la possibilità di governare per il tempo concesso dalla regole per poi al termine sottoporsi nuovamente al giudizio del corpo elettorale. La democrazia entra in crisi e con essa il paese, quando le regole non consentono a chi è stato scelto di governare, vuoi perché non si producono maggioranze solide, incentivando trasformismi e poteri ricattatori dei singoli parlamentari, vuoi perché l’azione spedita del governo si scontri con un sistema di poteri sbilanciato sulle camere e queste siano pletoriche e inadeguate, vuoi infine perché il governo stesso non possa superare i confini di autonomie regionali troppo estese e poco funzionali.
Di sicuro l’effetto immediato della riforma sarebbe quello di togliere spazio vitale a quello che è ormai numericamente un vero e proprio popolo di politici, spazio vitale e potere, quel potere che si fonda proprio sulle criticità del sistema, sul tenere i governi sempre sulla corda, quel potere che si nutre delle confuse e scoordinate competenze regionali, dai bilanci generosi “scudati” dell’inviolabile autonomia.
Ora questo effetto rappresenta uno dei motivi che ci ha convinto ad impegnarci con passione e convinzione per il SI alla riforma, ma proprio la portata, oserei dire rivoluzionaria da questo punto di vista, della riforma costituisce altresì un collante micidiale contro la riforma stessa. Essa è infatti un’ordinanza di sfratto diretta alla benemerita compagnia degli attori del surreale teatrino della politica italiana, ed infatti come per miracolo vecchi (Fini, D’Alema, Berlusconi, Salvini; Meloni ecc.. e nuovi (5 stelle) comandanti, sotto e semplici fanti, dell’esercito politico di questo strano paese, si sono tutti compattati CONTRO. A loro si sono affiancati, ahimè, anche una parte dello stesso partito democratico, i rottamati infatti colgono al volo l’occasione di vendicarsi dell’odiato rottamatore che ha osato spodestarli. Non importa se ancora una volta si dà fuoco alla propria casa pur di mandarne fuori l’odiato padre, se si sposano argomenti che contraddicono a volte anche goffamente la propria storia, l’importante è eliminare questo imprudente ed impavido riformatore e con esso la squadra di coloro che questa riforma l’anno votata e la sostengono per il bene del paese, andando oltre la “convenienza” politica personale.
Succede poi, in questo strano paese, che questa odiatissima classe politica raccolga ancora ascolto e consensi, e che l’unanimemente avvertito bisogno di cambiamento, se proposto da leader dell’odiata squadra avversaria, stenti ad essere salutato con entusiasmo e favore tanto da farci rischiare di ripudiarlo a farci ammettere a tutti noi, ai nostri figli, al mondo intero, che, in fondo, a questa classe politica, a queste scricchiolanti regole, ad un Italia ferma ed incapace di rinnovarsi e guardare al futuro forte e stabile, pronta a cogliere e non a subire le sfide del tempo, noi siamo tanto irrazionalmente quanto disgraziatamente legati tanto da non avere il coraggio di cambiarla.
Noi non ci arrendiamo.
Giusto Civilla
Coordinamento Comitato Bastaunsì San Pietro Vernotico