“Corniche Kennedy” di Maylis de Kerangal

Maylis de Kerangal è una delle scrittrici francesi più apprezzate di questo ultimo decennio: anche in Italia, con Nascita di un ponte e Riparare i viventi, ha conquistato innumerevoli lettori affascinandoli con storie che li ponevano al centro di un duplice, inconfondibile, movimento: l’uno verso l’esterno e tale da compiersi in una dimensione ampia e corale, crocevia di figure, vissuti, dolori; l’altro verso l’interno, ovvero diretto al corpo, al suo essere contenitore e fulcro materiale di ogni esperienza. In Riparare i viventi, la narrazione ritraeva il momento straziante in cui un corpo – il corpo di Simon, un ragazzo di vent’anni – cessava irreversibilmente di racchiudere movimento, energia, vitalità per lasciare spazio al tempo prezioso e sfuggente in cui intervenire perché il cuore che lo abitava potesse continuare a battere in un altro corpo, e intrecciava così le vite di coloro che – protagonisti di un evento così privato e al tempo stesso collettivo – avrebbero sospeso le loro normalissime quotidianità per lavorare al realizzarsi di un simile prodigio.

In Corniche Kennedy (romanzo del 2008, uscito in Italia per Feltrinelli lo scorso aprile), l’autrice ripropone questo motivo ricorrente della sua scrittura e cala la storia sotto lo splendido e luccicante sole del lungomare di Marsiglia, lì dove un manipolo di ragazzini – «angeli mingherlini» tra i tredici e i diciassette anni, abitanti di periferie lunari con la povertà «incollata addosso» – si ritrova sulla piattaforma di scogli proprio sotto alla corniche Kennedy per sfidarsi in lanci da altezze via via maggiori: «inspirano, conto alla rovescia dei secondi, tre, due, uno… via!, e si precipitano nel cielo, nel mare, in tutti i possibili abissi e, una volta in aria, urlano insieme, lo stesso grido, improvvisamente più vivi e più grandi nel più grande mondo che li accoglie». Il mondo che si rilancia ad ogni salto: è questo quello che conta, è «una scommessa di trascendenza inversa, (…), non più la caduta dunque, la cosa inebriante di cadere come un sasso, ma essere contenuto nel cielo, nel mare, là dove tutto cresce e s’allarga, e tu stesso diventi il mondo, coincidere con tutto quello che respira e che è intenso, rapido, leggero». Un’esperienza collettiva che assume la forma di una sfida feroce all’autorià, all’ordine precostituito delle cose, alle ipotesi di futuro che non sembrano discostarsi dalle misere premesse del presente. Maylis de Kerangal ci conduce con una lingua ricca, oscillante tra lirismo metafisico e puro istinto, attraverso l’energia e la spontaneità audace dell’adolescenza, attraverso le luci e le ombre ugualmente incandescenti di ogni sfida alla vita.

Diana A. Politano

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