L’idea secondo la quale se a Brindisi fosse stato costruito il rigassificatore della British gas «saremmo tutti più ricchi e più green», è solo una strumentalizzazione. Sicuramente la Cgil lo avversò per questioni tutt’altro che ideologiche.
Un «falso storico» su cui, se ancora a distanza di anni non fosse chiaro o fosse stato dimenticato, torniamo a rispiegarci, speriamo una volta per tutte laddove vi sia la necessità, dal momento che la crisi sorta con la guerra in Ucraina, probabilmente porta a «mistificazioni» di cui in questo momento non c’è proprio bisogno.
La storia dice infatti che a bloccare la realizzazione dell’impianto intanto fu la magistratura, punto primo. L’altra verità è che l’impianto – su cui nessuno mai chiese una opinione ai brindisini – era avversato, giustamente, dalla maggior parte dei suoi abitanti.
Quanto alla Cgil il «No» all’impianto era motivato da validissime ragioni che restano tutt’oggi attuali. La Cgil con grande responsabilità approfondì con tutto il gruppo dirigente e con il supporto di tecnici quale potesse essere l’impatto del rigassificatore allocato a Capo Bianco. Rientrava comunque nell’area del porto indicata ad alto rischio di incidente rilevante che, in caso di incidente, avrebbe avuto un effetto domino pericolosissimo per la città considerata la vicinanza degli stabilimenti industriali, inoltre le gasiere che avrebbero dovuto stazionare a bocca di porto inevitabilmente avrebbero bloccato, per ragioni di sicurezza, qualsiasi altro transito per altre attività portuali. L’impianto fu presentato con grande enfasi sul piano delle ricadute occupazionali ma che in realtà si limitava a dare occupazione a poche decine di lavoratori. Veniva presentata come grande opportunità la filiera della catena del freddo ma non era chiaro il progetto in sé e richiamava alla memoria la catena del caldo che doveva nascere intorno alla centrale di Cerano di cui poi si è persa traccia.
La British gas non propose mai una localizzazione alternativa al sito. A bloccare il progetto fu il sequestro dell’area da parte della Magistratura per gli esiti dell’indagine che si era aperta su ipotesi di corruzione da parte dell’Azienda al fine di ottenere tutte le autorizzazioni necessarie. Ma l’atteggiamento arrogante della LNG era tale che continuò a svolgere le attività di caratterizzazione nell’area sequestrata, tanto da costringerci come Cgil a presenziare all’incontro con il MATTM ponendo il quesito al Ministero se fosse a conoscenza che l’area fosse stata posta sotto sequestro dalla Magistratura. Nel 2012 arrivò la sentenza definitiva di confisca. Nel frattempo l’Autorità Portuale aveva chiesto il dovuto parere al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che dichiarò di non potersi esprimere sulla fattibilità di un’opera su cui era in corso un’indagine della Magistratura. Quindi fu il malaffare che girava intorno alla LNG alla fine la vera causa della mancata realizzazione del rigassificatore.
Riparlare oggi di rigassificatore rimestando la questione ideologica è un esercizio a cui non crede nessuno e denota, tanto per cambiare, una miopia di visioni. Già all’epoca infatti era chiaro che l’Italia avrebbe dovuto puntare principalmente sulle rinnovabili. E a Brindisi invece si è preferito continuare con vecchie logiche legate esclusivamente all’asservimento alle fonti fossili senza guardare al futuro.
Un errore che speriamo non si ripeta ancora una volta con la scusa della guerra, che invece deve farci riflettere molto bene su quello che deve essere il futuro della politica energetica italiana, anche in considerazione della decisione di Terna che mette una pietra tombale sulla riconversione a turbogas della centrale di Cerano, che può cominciare con una svolta veramente green che possa renderci indipendenti se puntiamo con decisione su eolico, fotovoltaico ed idrogeno verde, solo per fare degli esempi e ragioniamo nell’ottica di filiera per creare – questa volta sì – lavoro buono e occupazione stabile. La sciagura della guerra, l’aumento dell’inflazione, i rincari generalizzati sui beni di consumo sono, oltretutto, sono un “combinato disposto” micidiale che rischia di rivelarsi una miscela esplosiva sul fronte sociale, ma soprattutto deve indirizzare la “phase out 2025” nell’ottica di determinare un sistema organico e governato di politiche industriali e di sviluppo sostenibile per dare risposte concrete al mondo del lavoro, ai bisogni delle persone, al tessuto produttivo e sociale del territorio che non deve essere più condizionato dalle lobby e dalle tensioni geopolitiche puntando quanto più possibile sull’autonomia energetica.
Antonio Macchia
Segretario Generale
Cgil Brindisi