Lo so, rischio di essere di parte e poco obiettivo, ma il mio smisurato amore verso questa città mi impone di dare un umile ed appassionato contributo su quanto accaduto in questi giorni in relazione alla vicenda Eni-Versalis. Come tutti sanno, una decina di gironi fa il sindaco ha emanato un’ordinanza di blocco del cracking di proprietà del colosso della chimica a causa di picchi di benzene e toluene rilevati da alcune centraline presenti in città. Ordinanza poi ribadita da una successiva alcuni giorni dopo. Non entro nel merito delle valutazioni che hanno indotto il primo cittadino ad un atto così forte, né voglio approfondire i tecnicismi per i quali, in tanti, hanno valutato che tali valori rientrino in quelli media annui che si possono registrare senza violare le leggi. Versalis, immediatamente, ha dichiarato che la causa di quegli odori cosi acri non fossero riconducibili alle attività in corso in quei giorni ed era pronta ad adire le vie legali per dimostrare la propria estraneità ai fatti. Certo è che i picchi, seppur in orari ben definiti, ci sono stati e sarebbe opportuno che l’Arpa potesse chiarire, senza ombra di dubbio, l’origine di tali fenomeni. La zona industriale di Brindisi è enorme e troppe volte la cronaca ha raccontato di fenomeni di inquinamento ambientale (non più tardi di due settimane fa) che nulla hanno a che vedere con il polo chimico in questione. Lavoro da circa 30 anni in una nota multinazionale del petrolchimico le cui attività sono insediate all’interno delle aree dello stabilimento ed ho visto, in quasi sei lustri, enormi cambiamenti di varia natura. Sono cambiate le produzioni, gli impianti, le aziende e, soprattutto, c’è stato un ricambio generazionale che ha favorito una maggiore scolarizzazione sui reparti con innegabili risvolti positivi su tutta la filiera produttiva. Vi è, da ormai tanti anni, un diverso approccio al lavoro in tutto lo stabilimento, un’attenzione alla salute ed alla sicurezza che, con la continua formazione voluta dalle aziende, ha valorizzato le professionalità già esistenti, a tal punto che durante questa dura fase di pandemia, non c’è stato nessun contagio all’interno del polo chimico tra personale diretto ed indotto. Un sistema di controlli e di monitoraggio preventivo messo in atto già prima che le indicazioni volute dal governo centrale diventassero decreti attuativi. E non è poco!
Le aziende insediate nel petrolchimico, va ricordato, fanno parte di quelle strategiche a livello nazionale che non hanno mai chiuso nel periodo di lockdown ed hanno prodotto l’ossigeno che è servito alle terapie intensive e quelle materie plastiche necessarie per la costruzione di ventilatori polmonari, visiere, presidi medici ospedalieri e tutto quanto necessario per combattere un nemico più grande di noi. E con un pizzico di orgoglio piace ricordare i 28.000 euro raccolti dai dipendenti del Cral aziendale per l’acquisto di mascherine chirurgiche, così come tutti i lavoratori che hanno effettuato una donazione di sangue in quei terribili giorni.
Ora però la mia attenzione vuole volgere il suo sguardo altrove: la città, in queste due settimane, si è divisa tra le ragioni di chi vuole un ambiente più sano e vivibile e chi ha difeso l’operato della Versalis rispetto ai dati rilevati dalle centraline monitorate dall’Arpa. Un dibattito forte, aspro e duro che ha, però, radici storiche. Uno scontro acceso tra le ragioni degli uni contro quelle degli altri. Guelfi e ghibellini che, loro malgrado, da fronti diversi si battono per le stesse cose… Salute, ambiente e lavoro. Ed allora perché è andata in scena questa battaglia così dura e feroce? A chi è servita e soprattutto cosa si poteva fare per evitarla? Da sempre il petrolchimico è visto come la fabbrica dei veleni e con le torce messe lì ad inquinare tutto e tutto. La chimica, va detto con grande franchezza, ha deturpato il nostro territorio per decenni ed i risultati di tale violenza sono ancora sotto gli occhi di tutti (vedi Micorosa). Un passato che non deve essere dimenticato e per il quale il nostro territorio ha pagato un prezzo altissimo. Tante, infatti, le aziende che dopo aver avvelenato la nostra falda ed i nostri mari hanno dismesso i loro mostri portandosi dietro solo miseria e dolore. Il passato, appunto. Oggi, per fortuna di tutti (in primis dei dipendenti) le produzioni sono diverse, le leggi sono cambiate e con loro anche le sensibilità di chi ci lavora. Non è più possibile assistere a chi, decenni fa, per avere una bottiglia di acqua fresca in poco tempo, metteva la stessa su una linea di anilina (famoso cancerogeno la cui produzione è stata dismessa da anni). E l’elenco delle cose raccontatemi sarebbe lungo. Le attività dello stabilimento vengono monitorate e certificate da enti esterni, locali e nazionali. Vi sono audit interni molto rigidi che devono obbligatoriamente essere rispettati ed ai quali nessuno può sottrarsi. Ci sono confronti costanti tra i sindacati e le aziende per l’ottimizzazione delle procedure di sicurezza e norme molto rigide per il rispetto della salute dei lavoratori e dell’ambiente. Un sistema moderno di welfare invidiato da tutto il mondo produttivo nazionale. La salute e la sicurezza vista non già come costo, ma come risorsa su cui investire.
Tutto questo sistema “interno” riassunto in poche parole è solo una parte delle tante conquiste dei lavoratori che, è bene non dimenticarlo, sono gli stessi che ogni giorno vivono la città come tutti gli altri. Le loro famiglie ed i loro figli respirano l’aria di ognuno di noi e forse basterebbe questo per comprendere che la “battaglia” consumatasi in questi giorni non avrebbe mai avuto motivo di esistere.
Oggi, prima di tutto, bisogna far fronte comune per attivare tutti gli strumenti necessari per far crescere la nostra comunità. Versalis, come dichiarato anche ieri, aveva già messo in campo risorse per oltre 100 milioni per la realizzazione di progetti già avviati in parte e che dovrebbero ottimizzare ulteriormente l’efficienza dei propri impianti. Ma non basta. Servirebbe, come annunciato in questi giorni, un sistema di monitoraggio più accurato e capillare che possa, in tempo reale, allertarsi e dare origine ad indagini immediate ed approfondite per accertare la presenza di anomalie ed eventuali responsabilità. Il tutto non solo nel petrolchimico, ma in tutto il perimetro dell’aria industriale (comprendente anche il porto, etc..).
Ma non solo!
Bisogna attivare strumenti operativi per attingere risorse e piani urgenti per la realizzazione di bonifiche in tutta l’area SIN, che darebbe subito lavoro a tanta gente e permetterebbe di avere nel breve terreni bonificati, destinati a chi volesse investire nel nostro territorio. Si potrebbe utilizzare il sistema di servizi e di logistica all’avanguardia già esistente che, di concerto con le strutture portuali ed aeroportuali, farebbero da volano allo sviluppo dell’intero comparto industriale.
Per mettere in pratica tutto ciò serve una precisa volontà politica, un patto di buon governo tra enti, istituzioni e imprese. Serve sinergia con la scuola e l’università per incentivare la ricerca e poter accogliere i nostri figli nelle tante realtà locali senza che nessuno sia obbligato a lavorare lontano da casa. E tanta lungimiranza.
La guerra sui social di questi giorni non aiuta, meglio preferire il dialogo e la conoscenza. Ed anche le aziende devono fare la loro parte investendo, una parte dei loro utili, nei nostri territori attraverso quei progetti utili alla città. Non già come mancia per girarsi dall’altra volta come accaduto altrove, anche nel nostro territorio, ma come una precisa volontà alla crescita della nostra città e al benessere dei nostri concittadini.
Solo pia illusione, solo fantasia? Non credo, perché tutto ciò è già operativo in altre zone del nostro paese dove le buone idee messe insieme hanno partorito ottimi dividendi. Aree anche meno attrezzate della nostra ma dove, il bene comune ha prevalso sui piccoli interessi di bottega.
Vanno coltivati progetti che possano far emergere le nostre eccellenze, senza però demonizzare l’esistente. Il nostro territorio, che piaccia oppure no, ha un tessuto industriale importante e strategico per l’economia nazionale dove possono convivere in perfetta armonia la salute ed il lavoro. Quel lavoro che continua a produrre indotto, economia circolare in un tessuto sociale ulteriormente provato dalla pandemia in corso.
Bene, quindi, aver attivato tavoli di confronto dove le diverse “anime” possano lavorare per gli interessi di tutti. E l’augurio è che l’ascolto dei nostri bisogni possa trovare conforto nelle stanze che contano.
E’ questa la sfida alla quale non possiamo più sottrarci per non ricadere, tra qualche tempo, ad affrontare inutili battaglie che porterebbero solo danni e macerie sulle quali sarà sempre più complicato porre rimedio.
Dario Recchia