DA “DAMMI LI BIDDI MIA” A “PERMETTE QUESTO BALLO?” – di Gabriele D’Amelj Melodia

Il “Come eravamo” di Antonio M.Caputo tra nostalgia canaglia e memoria operosa

di Gabriele D’Amelj Melodia

Chiedo scusa ai lettori e all’autore se questa recensione arriva po’ a scoppio ritardato. Avevo acquistato il libro a Natale ma poi, per una serie di circostanze, l’ho letto solo una settimana fa. Poco male, anzi meglio, visto che la casuale decantazione gli ha conferito un bouquet di “parfume d’attente” molto seducente. E’ che libri come questo ”Nello scrigno della memoria” (Edizioni Hobos, distribuito in libreria e in alcune edicole cittadine) non hanno scadenza. Non sono Instant book ma veri e propri classici buoni per tutte le stagioni e sempre godibili. L’autore, non nuovo a queste scorribande nel vivo passato, ancora una volta ci ha appassionato con la sua narrazione fluida ed evocativa di quelle atmosfere d’antan irripetibili come accertamenti del Ris.
Con perizia e sagacia ha tirato fuori dal suo scrigno piccoli tasselli di varia umanità che pian piano, col dipanarsi delle storie, hanno formato un puzzle finale completo ed esaustivo. Un autentico affresco sentimental-temporale onnicomprensivo di ogni sfaccettatura. I luoghi, è inutile dirlo, sono quelli brindisini ma, attenzione, se il dato temporale è importante, quello spaziale è molto relativo. Io, che fino ai vent’anni ho vissuto in un paesino vicino Bari, ho ritrovato, se non gli stessi termini dialettali, lo stesso spirito dei tempi, le medesime dinamiche sociali e giochi uguali a quelli praticati nelle strade del mio paese. Ogni tanto chiudevo gli occhi e mi comparivano immagini di angoli assolati con crocchi di ragazzini concentrati sullo scambio di figurine o di palline colorate, e la colonna sonora di quei pomeriggi, a Bari come a Brindisi e altrove sul suolo italico, non poteva che essere “Nel blu dipinto di blu”, strillato verso il cielo a braccia aperte dal grande Mimmo …
Alcune delle mitiche figure dipinte magistralmente da Antonio, non hanno dunque appartenenza definita perché sono “patrimonio dell’umanità”. Lo studente “mimetico” che si rende invisibile per sfuggire alle interrogazioni, l’addetto al giradischi, il barzellettiere seriale, la bbona e la racchia, al pari delle vasche, degli appostamenti, delle ragazze “fermate”con la classica domanda “Sei libera o impegnata”, sono topoi universali di ogni costume indigeno di quel periodo, “da Trieste in giù”. Io, addirittura, a pagina 59 del libro, mi sono imbattuto in quel pittoresco personaggio turco-pugliese Haimuk che ricordo assai bene “spacciare” le sue caramelle per la gola in via Sparano, zona San Ferdinando e poi in occasione della Fiera del Levante, sotto l’omino Michelin. Ragazzi mi viene il groppo in gola, credetemi!
Questo agile libello si legge tutto di un fiato, in apnea da quella voluttà consumatoria che impone di arrivare fino all’ultima briciola, pardon, parola scritta. …Uno straordinario amarcord suggestivo e commovente, ricco di fatti, storie minime, ricostruzioni, rimandi, citazioni e riporti di poesie vernacole d’autore, descrizioni di modi di dire, dei giochi dell’infanzia e delle tempeste ormonali dell’adolescenza. Insomma un racconto ispirato dalla sensibilità e dall’alto tasso di conoscenza del prof. Caputo, il quale ha voluto regalarci l’emozione di un tuffo rituale in quel mare magnum lontano così denso di poesia e di nostalgia positiva.
Entrare in questo magico contenitore è stato come vedere un film d’ arte, ben sceneggiato e ben girato, con i primi piani giusti, le dissolvenze romantiche, gli sfondi scenografici di una vita spensierata che rotolava lentamente verso un futuro ineluttabile. Il libro è “per tutti”, come a proposito di certe pellicole scrivevano allora i parroci nelle bacheche affisse dietro le porte delle chiese. Lo dobbiamo leggere noi che allora c’eravamo (e ben protetti sotto la dolce ala della gioventù), e lo devono leggere i nostri figli e nipoti, se riusciranno a superare lo shock di imbattersi in un mondo giovanile che non prevedeva né discoteche, né telefonini e tantomeno “scopamici” …
Grazie Antonio per questa tua ultima fatica che, ricostruendo con penna leggera e ironica clima culturale, ambiti sociali e familiari, spaccati di costume, psicologie infantili e adolescenziali, e un’ irresistibile passerella della variegata fauna antropica che si aggirava sul palcoscenico della vita di quell’epoca, ci ha permesso di ripercorrere, proprio come fossimo calati in una macchina del tempo, un affascinante viaggio a ritroso nell’universo dei migliori anni della nostra vita. Il tutto tra ricordi e sentimenti dolci, positivi e niente affatto carichi di rimpianti, che restano vizi dell’anima del tutto sterili ed inutili. Un’attenta e capillare operazione culturale che è rimemorazione e non certo commemorazione! Viva dunque i favolosi anni 60 e avanti tutta verso quel futuro che un giorno diventerà il passato dei ragazzi d’oggi …

Gabriele D’Amelj Melodia

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