Willesden: un nome che ha finito per coincidere con il rifugio londinese di tre viaggiatori felici in un’estate che sembra troppo lontana. Quartiere multietnico nella zona nord-ovest della metropoli britannica – mattoncini rossi su case basse, macellerie halal, parrucchieri caraibici e chiesette per ogni confessione –, Willesden è confluito anche tra le pagine memorabili di Denti bianchi, il romanzo che nel 2000 ha rivelato al mondo il talento di una giovanissima Zadie Smith (che in quel quartiere è nata ed ha vissuto, e dove tuttora torna ogni qualvolta il suo incarico di docente di Scrittura Creativa presso la New York University glielo consente). Denti bianchi (che Mondadori ha pubblicato sin dall’anno della sua uscita nel Regno Unito ed è disponibile in edizione Oscar, nella collana 451 Libri che bruciano) è un romanzo che dipana davanti ai nostri occhi un mondo – la porzione di mondo, quanto mai sfaccettata e varia, che contiene la vita di Samal, di Archie e dei loro eroici, confusi e irresistibili antenati e discendenti. Perché la pluridecennale amicizia tra i due (l’inglese e il bengalese uniti dalla folle esperienza della seconda guerra mondiale) è solo il punto di partenza per muoversi attraverso il passato e il futuro e avvertire l’inesorabile riproporsi dello scontro tra le generazioni e le civiltà, tra il desiderio di appartenenza o di radici e il sogno di libertà da ciò che è lontano e trascorso. Quasi mai si esce indenni dallo scontrarsi di queste istanze opposte perché «di questi tempi, le probabilità di trovare un posto neutrale sono poche. Basti pensare alla quantità di merda che dev’essere raschiata via, se vogliamo ricominciare come nuovi. Razza. Terra. Proprietà. Religione. Furto. Sangue. E altro sangue. E altro». Quanto mondo c’è in questo libro, e quante storie – raccontate esattamente alla maniera degli anziani negli angoli bui di un pub, «usando i boccali della birra e le saliere per rappresentare persone morte da tempo e luoghi lontani» e forchette e coltelli finiscono per non bastare mai quando si vuole dire la complessità del destino. Vi sono famiglie che fanno fatica a trovare un asse lungo il quale equilibrarsi, individui manchevoli tutti di qualcosa (che si tratti di un handicap fisico, di un’integrazione a metà o di nostalgia bruciante) sullo sfondo di una Londra multietnica e multireligiosa che ingloba fanatismo fondamentalista, istituti di eugenetica, moda, divise scolastiche e retorica progressista da classe media illuminata: Zadie Smith racconta con orecchio attento alle voci che ascolta per la strada, con ironia sagace e toni epico-comici che restituiscono i disegni bizzarri del tempo – con il passato che non è mai soltanto remoto e il futuro che non è sempre del tutto prossimo.
Diana A. Politano