“Gli incendiari” di R.O.Kwon

Non è difficile concordare sul fatto che la vita sembri prendere fuoco e animarsi quando pervasa dall’amore o dalla fede in qualcosa: solo allora essa pare avere un senso, una destinazione, un’impalcatura capace di sorreggere le costruzioni talvolta bizzarre cui, vivendo, diamo forma. Gli incendiari di R.O.Kwon, autrice nata in Corea del Sud ma residente negli Stati Uniti, è un romanzo che pone al centro della narrazione proprio queste due forze: un amore (dalla sua genesi al suo ridursi ad un cumulo di ceneri ardenti) e la degenerazione della fede in settarismo violento e integralista. Gli incendiari sono Will e Phoebe, giovani studenti universitari dalle vite apparentemente privilegiate che non si fa fatica ad immaginare mentre procedono verso un futuro di conferme e di successi – non fosse per il vuoto esistenziale che li segna e che, in particolare, rende Phoebe sensibile al richiamo di chi sostiene che si spreca il tempo, che esistono scopi più alti per dargli significato, che quel «buco a forma di Dio» può essere riempito col semplice perseguire il disegno divino che esiste per ciascuno. È qui che John Leal si insinua tra Will e Phoebe: se agli occhi del primo egli risulta «un fanatico cristiano fricchettone da quattro soldi con pose da francescano», Phoebe resterà invece irretita dalla sua retorica, dalla magnetica drammaturgia messa in campo durante gli incontri del gruppo, dal sapiente abracadabra col quale si illude di rimediare all’istante che le ha rovinato la vita. Il desiderio innocente di Phoebe è forse quello di far sì che le venga restituito ciò che ha perduto, mentre dietro all’ostilità verso Dio di Will c’è solo la nostalgia per quella tensione rimasta troppo a lungo senza risposte: i punti di vista dei due scandiscono, rincorrendosi e fondendosi, il tempo del libro e le loro voci sono intervallate da quella di John Leal, via via più enigmatica e folle. Assistiamo al prendere forma di un progetto sanguinoso compiuto in nome del Signore e al tentativo di Will di capire, di ricostruire pensieri, immagini, frammenti di conversazione cui è tornato troppe volte, ritoccando le scene «talmente tante volte, che ci ho lasciato sopra le ditate». Precipitiamo al contempo nell’amore e fuori dall’amore, nella religione e fuori dalla religione ed è dovunque incendio: «Phoebe, continuo a pensare che Lui non esista. Credo che L’abbiamo inventato noi, per riuscire a vivere. Ma se potessi, Gli chiederei di darti tutto».

Diana A. Politano

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