C’è anche Brindisi nel nuovo romanzo di Paola Calvetti, Gli innocenti (Mondadori), e ha il sapore del pane, del latte caldo e delle mandorle: è così che riaffiora nella memoria di Dasha, la giovane violoncellista da Tepelenë, piccola cittadina dell’Albania, che il sette marzo 1991 approda insieme a migliaia di connazionali nel porto italiano, inseguendo un sogno d’amore e di libertà. La sua voce, che proprio a partire da quell’approdo in una terra ignota assume il timbro maturo di chi ha conosciuto la solitudine e la consapevolezza di dover bastare a sé stessi, si insegue per tutto il libro con quella di Jacopo, affermato violinista fiorentino.
Il loro è un amore pieno, gioioso: cinque anni, sei mesi e novanta giorni in cui Jacopo avrà l’impressione di essere riuscito nell’impresa di smantellare il paesaggio interiore della sua infanzia, così dolorosamente segnata dall’abbandono, dalla permanenza all’Opedale degli Innocenti e poi dall’adozione in una famiglia troppo fragile per farsi carico dell’innocenza ferita di un bambino. Pensare la musica, e viverla, renderà Jacopo e Dasha più forti e darà alle loro vite le sembianze della perfezione – almeno fino a quando paure remote non torneranno a fare capolino. Sarà di nuovo la musica a unirli, a segnare il tempo della riconciliazione? E le inquietudini dell’animo potranno dirsi placate dal dono della verità – luminosa e armonica come l’edificio fiorentino del Brunelleschi, intitolato agli «Innocenti», in cui era custodita? Il libro, in un crescendo di intensità e di rivelazioni, ci consegna l’idea essenziale secondo cui, se pure il nostro «talento per la felicità» tenda a essere carente, la vita offre occasioni inaspettate per allenarlo, e abbandonare la paura.
Diana A. Politano