Oggi si celebra la XXIX Giornata Mondiale del Malato. La istituì San Giovanni Paolo II per sensibilizzare la comunità cristiana e non solo, verso tutti coloro che soffrono a causa della malattia, con la preghiera e il fattivo impegno. Volle che si celebrasse ogni anno l’11 febbraio, nella Memoria della Beata Vergine di Lourdes, perché in quel grande Santuario sono milioni gli ammalati che si recano pellegrini per chiedere alla Madre di Gesù l’intercessione per la guarigione. Partendo da questa ricorrenza vorrei offrire la mia modesta riflessione.
Da un anno ormai tutta l’umanità convive con la pandemia causata dal corona virus. Prepotentemente tutti ci siamo (ri) scoperti fragili, svegliandoci dal torpore di credere che il mondo fosse “sterile” e che la malattia fosse qualcosa di lontano o di appartenente sempre a qualcun altro. Invece la realtà odierna ha svelato ciò che non può essere nascosto, anche se tendiamo ad allontanarne il pensiero, e cioè che tutti siamo fragili, e vulnerabili. Sì, perché la malattia rende l’uomo bisognoso di cure per poter riassaporare il gusto della vita. Ci crediamo super uomini capaci sempre di poter superare ogni cosa, di saper gestire e pilotare l’oggi e il futuro, ma invece se ci guardiamo intorno (e dobbiamo farlo!) ci accorgiamo di quanta sofferenza c’è a causa delle tante malattie. Il grande Fabrizio De André canta che “…per tutti il dolore degli altri è un dolore a metà…”. Che atroce verità! Di fronte al malato possiamo assumere il meschino atteggiamento dell’indifferenza oppure l’impegnativa vicinanza dell’empatia. In questa giornata dunque il pensiero va verso i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che hanno scelto di offrire l’impegno dei loro studi, della loro preparazione per venire in aiuto alle molteplici necessità che richiedono gli ammalati. Con questa consapevolezza mi piace ricordare che si possono chiamare, come forse con estreme superficialità si è fatto, eroi, coloro che sul serio vivono con totale abnegazione l’accettazione di esporsi al rischio. Così si potrà riconoscere il buon medico, se non metterà solo a disposizione le sue conoscenze mediche, ma se saprà unire a queste quella grande dose di empatica umanità e anche pazienza che si aspettano gli ammalati. Ho visto troppe volte da parte di tanti, addirittura di personaggi religiosi o pseudo tali, scappellarsi per onorare i medici, che ovviamente meritano grande rispetto, e invece trattare gli ammalati con astio, trascuratezza, insopportazione. Il riassunto di ogni ipocrisia! Perché, tornando alla riflessione sulla giornata di oggi e dunque obbedendo all’insegnamento che ci dona il Vangelo siamo chiamati a mettere sempre e unicamente il malato al centro. Al centro delle cure e dell’attenzione degli operatori, al centro degli investimenti e delle ricerche della Sanità pubblica, fosse altro che tutti abbiamo a che fare prima o poi con la malattia. Tutti abbiamo incontrato un malato e tutti potremmo un giorno diventarlo.
Gesù nella sua vita terrena ha offerto sempre totale vicinanza verso gli ammalati, anche quelli più ripugnanti, dando loro guarigione del corpo e dello spirito. Mettendoli al centro della sua missione gli ha ridato dignità.
Credendo, sappiamo che l’unico che salva è Lui, ma questa certezza non elude la responsabilità degli uomini: “…ero malato e mi avete visitato. Quello che avete fatto a uno solo di questi miei piccoli lo avete fatto a me…” (Mt 25,35-44). Il dono della Fede ci impone di trasformare l’umana empatia in missione. Leggendo i tanti episodi evangelici troviamo spunti attualissimi per tradurre nel quotidiano la possibilità di migliorarci, così come innumerevoli sono gli esempi dei santi, uomini e donne, che hanno reso il servizio caritatevole verso gli ammalati la via per la loro santificazione; basti ricordare san Giovanni di Dio, Santa Luisa de Marillac, San Giuseppe Moscati, Santa Teresa di Calcutta e tanti altri anche sconosciuti.
Il santo padre Francesco ha scelto come teme per quest’anno: Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8). La relazione di fiducia alla base della cura dei malati.
La fratellanza a cui ci richiama Papa Francesco trova certamente fondamento in Dio, ma può essere espressione comune anche in chi non ha il dono della Fede. Perché sentirci fratelli implica la volontà di abbattere le strutture egoistiche, opportunistiche, vanitose che si insinuano anche in ambiente sanitario. Gli ospedali rischiano di diventare luoghi anonimi o peggio luoghi dove lucrare sulle sofferenze invece che diventare luoghi aperti alla speranza che diventa cura e anche tenerezza. Come sarebbe bello se prendessimo la consapevolezza che la collaborazione è solo un valore aggiunto. Spesso invece ci si imbatte in inutili gelosie, in ostilità tra medici, infermieri, operatori e tutto a discapito del servizio da rendere. Dovremmo recuperare forse la virtù squisitamente cristiana dell’umiltà per superare ogni difficoltà e divenire finalmente strumenti di “salute”, rimettendo al centro il malato e riequilibrando le tante storture note. Solo così il malato sarà riconosciuto fratello che ha bisogno di cure perché ci sarà a cuore come persona con il suo nome e la sua storia. Verrà sempre prima il malato e dopo la malattia.
La giornata di oggi dunque sprona tutti, ognuno con le differenti responsabilità, a riprendere vigore nella stanchezza ed entusiasmo nello sconforto. Ad aprirci alla fiducia reciproca e ad ispirare fiducia.
La medicina che fa tanto bene agli ammalati sono soprattutto i gesti delicati, le parole attente e dolci, mani, occhi e attenzioni che aprono alla speranza, anche quando la lotta contro il male pare non avere senso.
La riflessione e la preghiera di oggi diventi autentico ringraziamento verso coloro che si impegnano nel servizio verso gli ammalati, e diventi supplica per lenire le malattie di ogni tempo e di ogni essere umano senza alcuna distinzione.
Una frase che credo riassuma perfettamente lo spirito per vivere questo tempo e questa giornata c’è la dona una ragazza ebrea uccisa dai nazisti che nel suo diario scriveva: “Ho spezzato il mio corpo come fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Erano così affamati, e da tanto tempo. Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite…” Etty Hillesum.
È dunque tempo di essere curati, è tempo di donarci, è tempo di spezzarci, è tempo di amare.
Davide Gigliola
Grande Davide! sempre profonde e coinvolgenti le tue riflessioni! Grazie!