Il Natale promesso…

Ci era stato promesso un Natale “normale”, e noi ci avevamo creduto. In fondo i presupposti sono molto diversi dal Natale del 2020, abbiamo pensato, ora sappiamo contro cosa stiamo combattendo e abbiamo affilato le armi: vaccini, mascherine, distanziamento, tamponi, green pass, anche rafforzato.

Convinti che non saremmo più tornati all’Italia a zone, abbiamo cominciato a riorganizzare le nostre vite secondo la nostra idea di normalità. Quindi sì ai ristoranti, ai cinema, ai teatri, sì alle palestre, alle sale da ballo, agli stadi, ai viaggi, sì alle fiere, ai mercatini, alle piazze affollate. Sì alla vita che ricomincia. Disordinatamente.

Ma il punto è che il nostro concetto di normalità non ha tenuto conto di un nemico che è sempre pronto a colpirci, come un cecchino, quando meno te lo aspetti.

Siamo in guerra, in una guerra ancora semisconosciuta, che ha la possibilità di raggiungere velocemente qualsiasi angolo del mondo, e non sappiamo per quanto ci resteremo, perché il nostro nemico è un grande trasformista e se andassimo a leggere i rapporti del Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, scopriremmo che è mutato molto di più rispetto alle famose varianti Alfa, Beta, Delta e ora Omicron.

In sintesi abbiamo commesso un errore di presunzione,abbiamo pensato che bastasse avere a disposizione una serie di ausili per spingere all’angolo un virus che ogni volta si ripresenta sotto una nuova veste. Ma ci vuole dell’altro, ci vuole una coscienza civica, una responsabilità individuale, una cultura sociale che ci consenta di preservare il nostro benessere e quello degli altri.

Perché questo virus non si limita ad aggredire solo il nostro corpo, colpisce anche le nostre anime confuse, impaurite e, come un grande stratega, ci divide e ci spinge in lotte intestine che non fanno altro che indebolirci.

Dove dovrebbe esserci unità c’è divisione, dove solidarietà, egoismo, dove amore, rabbia, dove rispetto, disprezzo, dove consapevolezza, arroganza.

Forse un atto di umiltà sarebbe il più grande dono che potremmo fare a noi stessi per questo Natale.

Certo, ci era stato promesso un Natale “normale”, e noi abbiamo addobbato la nostra casa a festa, abbiamo lucidato gli argenti, spolverato e spazzato i pavimenti, ma la polvere l’abbiamo lasciata dietro la porta eabbiamo dimenticando che è così facile per la polvere rientrare in casa. Se solo il 50 % della popolazione mondiale è vaccinata e l’altra metà non può permetterselo, è logico aspettarsi un ritorno ciclico del virus.

Per la prima volta siamo costretti a pensare a noi e ai paesi poveri simultaneamente, a non lasciarli indietro in questa battaglia, perché se non rivolgiamo i nostri sforzi anche a chi non ce la fa, non ce la faremo neanche noi. Non si tratta di essere buoni, si tratta di essere intelligenti.

Quindi, augurarci un Natale “normale” è stata solo una speranza, il desiderio di ricominciare da dove avevamo interrotto le nostre abitudini e il nostro modo di relazionarci con gli altri. E invece dobbiamo vivere un altro Natale “straordinario” che mette in discussione i nostri comportamenti sociali, e ci spinge a condividere solo con gli affetti più cariquesto momento.

Se ci pensate, potrebbe essere l’occasione di vivere un Natale alternativo, anche migliore di quelli “normali”, meno consumistico e più ricco di significati. Un Natale dove ritrovare una spiritualità perduta, soverchiata dall’avere più che dall’essere, la semplicità di un sorriso o di un gestoall’uomo di colore davanti al supermercato, al povero della porta accanto o allo sconosciuto che soffre a migliaia di chilometri da noi.

Potrebbe essere l’occasione di scrollarci di dosso rabbia e frustrazione che da un po’ di tempo avvelenano le nostre relazioni e il nostro modo di vedere l’altro, di ritrovare noi stessi e il senso profondo della vita.

In fondo ci bastano umiltà, intelligenza e amore.

ERRE

 

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