Questa breve nota è segnata da una genesi differente dalle note delle precedenti settimane: non la curiosità di chi scrive verso un oggetto, con la scelta conseguente di leggerlo e scriverne, bensì il consiglio felice che proviene da un terzo e che invita a condividere la gioia di scoprire la bellezza sorprendente di un libro. Il viaggiatore parallelo è il volume, edito dall’editore Contrasto, che raccoglie le fotografie del padovano Roberto Salbitani: una lunga serie di immagini realizzata tra il 1974 e il 1982 durante i numerosi viaggi in treno con i quali egli attraversava in lungo e in largo l’Italia. Sono visioni simultanee, in cui alle combinazioni degli ignari viaggiatori ritratti si accostano le vedute del mondo: la malinconia di sperdute stazioni dimenticate, l’enigma di due sedie a sdraio rosse lungo i binari, la potenza della primavera che bussa al finestrino, «le geometrie di un orto d’artista che avrebbero ingolosito Euclide». Se il viaggio altro non è se non «attesa di un prodigio», si procede attraverso il fluire di queste immagini avvertendo in sé lo stupore di entrare così vividamente in contatto con le storie e i mondi interiori – tutti da immaginare – dei volti ritratti. I percorsi sono quotidiani, per nulla esotici: non serve andare lontano per «incrociare quelle vie del mondo che sollevano dei punti interrogativi». Salbitani realizza un lavoro commovente, riesce nell’intento di rendere manifesto – anche con la poesia delle parole che accompagnano le immagini – quel duplice movimento che ogni viaggio comporta: in avanti (quando segue le traiettorie spaziali dei vagoni e il progredire delle stagioni e delle età) e verso l’interno di sé (nella misura in cui il viaggiatore viene trasportato indietro nel ricordo, nell’infanzia, nel fantasticare su quanto è al di là del presente). Gli sguardi sono autentici, solo talvolta fa capolino un pizzico di vanità o l’orgoglio (quello del papà, che para il suo bimbo davanti all’obiettivo del fotografo perché questi faccia il suo dovere). Le pagine scorrono e promuovono un’esperienza sensoriale: i ritratti ci mettono di fronte agli infiniti modi di essere umani. Queste immagini – «rapine», per dirla con Salbitani, la cui unica attenuante può forse essere la loro inoffensività – non fanno tuttavia ciò che è proprio di una rapina: non tolgono, bensì restituiscono. Tanto, a chiunque vi si specchi.
Diana A. Politano