Fate Velaj, artista albanese/austriaco di fama internazionale, la cui produzione dalle multi sfaccettature, pittura, fotografia e scrittura, è stata non a caso oggetto di numerosi premi e riconoscimenti ottenuti in contesti internazionali, dà vita con questo romanzo ad un flusso di coscienza che può appartenere ad ognuno di noi e che utilizza la scrittura come mezzo per costringere la mente ad una lettura più attenta. È infatti una tale lettura che permette una immedesimazione nel viaggio di un autore che non dimentica mai di essere pittore e, dunque, nel viaggio attraverso quadri che partono da un preciso momento per poi andare verso mete reali – Albania, Italia, Austria, ecc. – ma che, appunto, trattandosi di quadri, ossia di immagini, risultano trasformate dai propri vissuti.
Ripercorrendo, si potrebbe dire, percorsi letterari appartenenti al mondo tedesco, che vanno dal viaggio goethiano in Italia ai Reisebilder di Heinrich Heine, quel preciso momento – il Kreuztanne, un hotel austriaco tuttora esistente, dove negli anni ’90 soggiornavano gli immigrati provenienti dai paesi dell’Est Europa – diviene la ri-nascita di un Ich Erzählung, di un romanzo di formazione che permette all’autore di abbandonare il senso di spaesamento caratteristico di quanti sono costretti a lasciare il proprio paese e di viaggiare attraverso il Sé e l’altro, il dentro e il fuori, tra ciò che si è avuto e ciò che si vorrebbe, tra il desiderio e il sogno, passaggio, quest’ultimo, freudianamente inteso.
Si tratta, insomma, di un viaggio metafora di una vita nella quale confluiscono incessantemente esperienze ed emozioni, esperienze ed emozioni che allontanano il romanzo sia da crisi solipsistiche trasferite in parole, sia da atteggiamenti estetici da art pour l’art, in cui il tu serve a bilanciare l’io lirico; piuttosto oggetto è qui una scrittura dal significato olistico che proprio nel “tutto” si invera, trova la sua realtà. Il pubblico che sta intorno all’Autore, la coppia rumena, i suoi connazionali, ecc., sono cittadini del mondo ritratti pittoricamente e fotograficamente in gesti quotidiani, si muovono come noi potremmo muoverci e dicono quello che noi potremmo dire.
Restando sul terreno tedesco, vien da pensare alle visioni oniriche e, sebbene tali, mai disgiunte da un forte senso di terrestrità, del pittore romantico Caspar David Friedrich, e a quanto egli ebbe a dire: “Chiudi l’occhio del corpo, affinché tu possa prima vedere la tua opera con l’occhio dell’anima. Poi rivela quello che hai visto nel buio in modo che possa riverberarsi sugli altri dall’esterno verso l’interno”.
È sufficiente pensare al suo “Viandante sul mare di nebbia” per comprendere la fedeltà al proprio sentire, all’uomo o, meglio, alla sua sagoma di fronte a montagne e mare velati dalla nebbia come metafora del viaggio verso l’interiorità con l’obiettivo di raggiungere la vera essenza del mondo, l’ascensione alla realtà celata dall’apparenza. Il paesaggio, al pari dei luoghi di Velaj, non è solo la trasfigurazione di stati emotivi, bensì incarna attese e domande esistenziali, rappresenta la ricerca di possibilità di comunicare le esperienze più profonde dei fatti umani.
Abbandonato l’aspetto contemplativo di Friedrich, il racconto di Velaj vuole però trasmettere altro. Pur riflettendo le privazioni, le lotte umane arricchite dall’amore e dal desiderio, dalla nostalgia e dalla tristezza, esso ricompone l’individuo in un rapporto così intenso con l’ambiente che la rappresentazione si apre agli occhi dell’Autore non magicamente irreale, per suggestione del sentimento, ma riprendendo luoghi e cose. Avviene, dunque, che il controllo sulla memoria della fanciullezza e dell’adolescenza sia effettuato attraverso il nuovo incontro topografico, che diviene punto e spunto essenziale per la costruzione di una vita diversa.
Romanzo autobiografico, allora, romanzo di memoria, ma anche di sfogo, di confessione, quasi, della ricerca di una verità non scientifica, ma allusiva, che favorisce l’identificazione del lettore, al quale non resta altro che condividere il punto di vista e lo stato d’animo dell’Autore: percepisce la sua stessa realtà, vede ciò che egli vede, prova ciò che egli prova.
È così che la funzione del reale, sdoppiato in apparenza e idea unite nella visione, è quella di trasmettere i luoghi come occasioni trasparenti della verità, la quale, proprio per il suo carattere simbolico, si presenta come segno e segnale di una vita in fondo imperscrutabile, pur se non priva di speranze, iconizzata dai colori. I colori, come i lineamenti – diceva Picasso – seguono i cambiamenti delle emozioni. Colori scuri, perciò, della copertina del volume che ritrae il Kreuztanne, l’inizio del viaggio, colori tra luce e ombra, “emblema” delle onde che diventavano bianche, grigie, infrangendosi contro gli scogli, così come la stessa vita avrebbe potuto schiantarsi davanti ai pericoli. Ma all’interno i colori accesi dei paesaggi, giallo e rosso, colori della luce solare, dell’estroversione, della passione, del sangue, degli slanci vitali e dell’azione, della fiducia in se stessi, colori della speranza, della ri-nascita. Volendo sinestesizzare, ossia attribuire un significato colorato alle vocali il poeta Rimbaud scriveva: “I, porpore, rigurgito di sangue, labbra belle /che ridono di collera, di ebbrezze penitenti”.
Il volume, in conclusione, tanto ricco di possibilità interpretative, di tradizione e di modernità, di tecnica espressiva e di capacità di raccontare partendo da un ampio retroterra di cultura e di ricerca, sebbene sia il primo risulta l’evidente punto di arrivo nella carriera di un Autore, la cui versatilità promette la continuità del suo colloquio con i lettori.
Aspettiamo la versione italiana e il secondo romanzo!
Grazie mille!