LA BRINDISI DI VITTORIO BODINI, IL SUD E LA SUA DAMNATIO MEMORIAE

Il Sud, terra di nessuno, flagello dell’Italia, celebrato solo per lu Sule, lu Mare e lu Ientu

Brindisi in versi

 

L’ultimo sole sui carri,/ sulle code dei cavalli,/ l’ultimo sole di oggi/ che non è domani.

Alla fontana col secchio/ I carrettieri/ voltavano le spalle/ a quell’ovale e quasi esule specchio/ ove la sera calumava reti/ ed un viola d’obblio, e annidati/ in qualche parte dell’onda/ i piccoli gabbiani/ chiedevano la storia/ di Moby Dick che muove solitario/ sugli oceani assoluti.

E un palmizio era a guardia della fonte/ che come un ladro io guardavo./ Ladro del tempo che ci ruba tanto./ Era qui che i crociati abbeverano/ i loro cavalli.

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Così si conclude la lirica di Vittorio Bodini, Brindisi, dedicata alla nostra città, tratta dalla sua seconda raccolta in versi Dopo la Luna (1956), con la quale lo scrittore si aggiudicò il prestigioso premio di poesia «Carducci». Nella descrizione di Brindisi offerta dal poeta riecheggiano immagini, motivi e topoi che sono all’origine della particolare concezione del Salento di Bodini, odiato e amato al tempo stesso, visto come una patria, una casa, una madre che ha generato e nutrito l’uomo, ma considerato come una terra desolata e traboccante di angoscia, che si contrappone all’artificiosità dello stile Barocco e al mare e al sole che lo sovrastano imperituri. Nel territorio brindisino, proprio come nel leccese, biancamente dorato/ è il cielo dove/ sui cornicioni corrono/ angeli dalle dolci mammelle,/ guerrieri saraceni e asini dotti/ con le ricche gorgiere. E ancora si respira Un’aria d’oro/ mite e senza fretta/ che s’intrattiene in quel regno/ d’ingranaggi inservibili fra cui/ il seme della noia/ schiude i suoi fiori arcignamente arguti/ e come per scommessa/ un cavernale di pietra/ simula in mille guise l’infinito. A Brindisi non passa un sogno; le aspirazioni per un avvenire migliore, memori di una storia ormai lasciata alle spalle, quando popoli amari si scontravano/ e di sangue tingevano i cieli della preistoria, sono soffocate dal peso dell’inerzia dell’amministrazione comunale e dei suoi stessi cittadini. Tutto è evidenza e quiete. Oggi i più non conoscono Brindisi, il Sud, le case di calce/ da cui uscivamo al sole come numeri/ dalla faccia d’un dado, e tutto ciò che essa sarebbe in grado offrire per una sua luminosa rinascita. Come si può ridestare una città trascurata e abbandonata se non si prende coscienza di ciò che essa ha rappresentato, di quali popoli e culture l’hanno attraversata, del suo potenziale artistico, paesaggistico, gastronomico, sportivo, delle sue tradizioni e del suo dialetto che a volte è la voce di un popolo privo di aspettative? Può la letteratura, una frase, una parola o un verso uscito dalle mani di uno scrittore muovere a un rivolgimento sociale, economico e politico? A Brindisi, similmente alle terre del Sud, i tramonti hanno l’aspetto di bestie macellate. Nell’aria si intravvede il sangue, il paesaggio è ricco di ulivi, di foglie di tabacco, di cartine giovanili spezzate e riaccese di sigaretta. Dai quartieri della città provengono mille voci. Tutto il paese vuole far sapere/ che vive ancora/ nell’ombra in cui rientra decapitato/ un carrettiere dalle cave. Il buio/ com’è lungo nel Sud!.

A Brindisi non si vuole morire dove vivere ci tocca, mio paese,/ così sgradito da doverti amare;/ lento piano dove la luce pare/ di carne cruda/ e il nespolo va e viene fra noi e l’inverno. Quanta rabbia di esistere qui, in questo paese, che si tramuta in amore.

 

Carneade chi era costui?

Nato a Bari il 6 gennaio 1914 da una famiglia leccese, morto a Roma il 19 dicembre 1970, Vittorio Bodini è un’artista dalle innumerevoli sfaccettature. Nel corso della sua irrisolta e tormentata esistenza è stato poeta, narratore, saggista, ispanista e traduttore. Bodini, concordemente ritenuto il più importante scrittore pugliese del Novecento, la cui fama ha valicato i confini locali e nazionali, per assumere una fisionomia internazionale, è una di quelle figure che più radicalmente ha posto al centro del proprio percorso umano e letterario quel Sud-patria che è la Puglia, o meglio il Salento, vissuto secondo i termini di un rapporto conflittuale e nostalgico. Nella poesia intitolata Troppo rapidamente, Bodini, a testimoniare l’odi et amo provato nei confronti della sua terra, dirà che Il Sud ci fu padre/ e nostra madre l’Europa. Il Mezzogiorno, dunque, prima inteso come un padre, che dispensa insegnamenti e al quale sempre rivolgersi per ritrovare la propria strada, poi come una madre, dalla quale ci si distacca subito dopo il parto. Da queste preliminari considerazioni svolte sull’autore salentino sorge spontanea una domanda. Può davvero un uomo tagliare il cordone ombelicale che lo lega alla sua patria, odiando chi lo ha generato e lo ha seguito nei suoi primi passi? Bodini non dimenticherà mai il Salento e la sua città, Lecce, sempre presente nel suo cuore, alimento primario della sua scrittura, ipotesi motivata e legittimata dell’universo. Quando, allora, Bodini decide di affidare alla letteratura l’importante missione di rappresentare e immortalare la sua città in pagine di esemplare grandezza? All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, nel momento in cui la sua coscienza si confronta con il Meridione d’Italia che, oltre ad essere una condizione storica e geografica gravata da problemi economici e sociali, è una realtà che può essere ripensata e trasfigurata seguendo precise modalità espressive, conformi alle esigenze di una realtà devastata dal conflitto, per configurarsi come un nuovo luogo da sondare, rifuggendo l’astrattismo e la vacua pomposità dei canoni ermetici. Non a caso i primi testi di Bodini nei quali emerge prepotentemente il motivo del Sud risalgono al 1946, come si osserva leggendo i primi versi della poesia intitolata La  Luna dei Borboni, Tu non conosci il Sud, le case di calce/ da cui uscivamo al sole come numeri/ dalla faccia d’un dado, ove il Meridione già comincia a delinearsi come metafora dell’uomo moderno. Nell’immediato secondo dopoguerra Bodini si misura anche con la composizione di un’opera romanzesca di matrice autobiografica, ambientata a Lecce negli anni Trenta. Il fiore dell’amicizia, il romanzo in questione appunto, si propone proprio di tratteggiare l’ambiente leccese attraverso i luoghi e le vie che lo contraddistinguono, ovvero la piazza principale, il Castello di Carlo V, le strade del centro, il Grand Hotel, il collegio dei Gesuiti, il viale della stazione, seguiti ancora dalla descrizione di innumerevoli località.

Ma il recupero e la valorizzazione di Lecce e del Salento sono da ricondurre propriamente ad un’esperienza determinante, che ha segnato la vita e il profilo intellettuale dell’autore, e che si svolse fra il novembre del 1946 e l’aprile del 1949. Il riferimento è al viaggio in Spagna, dove Bodini, illuminato dalla figura esemplare di Federico Garcia Lorca, ebbe la possibilità di conoscere un altro Sud, il cui spirito nascosto gli consentirà di tracciare un ponte ideale fra il Salento e la penisola iberica. Bodini, tornato a Lecce nel 1949, arricchito dalla consapevolezza delle affinità che uniscono la sua terra alla Spagna, si immerse nella propria città per ricercare i suoi tratti più profondi e originari, scortato nella sua convinta esplorazione dalla individuazione di una serie di costanti, di fenomeni, di vicende, di personaggi propri del Salento, che andranno ad alimentare la realizzazione di quelle prose che restituiscono un’immagine singolare del Sud, assimilato dallo scrittore al Salento e percepito come emblema di una tragica condizione umana ed esistenziale. Sintomatica dell’affermazione di Lecce come luogo dello spirito e come città letteraria è una prosa intitolata Barocco del Sud (che sarà ridefinita poi nel 1951 sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» come Psicologia del barocco leccese) nella quale Bodini, partendo dalla permanenza nel Salento dei Borboni e dallo stile architettonico barocco, arriva a definire la sua città come condizione dell’anima più che luogo della geografia. Agli occhi dello scrittore, però, il barocco, più che rispecchiare una precisa categoria artistica, storicamente determinata e confinata al secolo XVII, trascende l’universo delle arti, per estendersi ai più disparati campi della vita sociale, sino ad approdare al paesaggio e al cuore stesso degli abitanti di Lecce. Nel barocco salentino, dunque, Bodini intuisce una nota dolente dello spirito in cui si annida un esasperato senso del vuoto (l’horror vacui), al quale si cerca di rispondere con l’esteriorità estrema, con l’innaturale ricercatezza, con l’esuberante ostentazione.

«L’inventore del Sud» sprofondato nelle pieghe dell’ignoranza

«Per chi come il sottoscritto, è nato e cresciuto nel sud, la progressiva dimenticanza di un sublime poeta e di uno squisito intellettuale quale Vittorio Bodini genera pur sempre perplessità e sdegno», scrive Rossano Astremo in un contributo significativo incentrato su Bodini e sulla triste condizione della sua dimenticanza. «Ad esclusione di “Quarta generazione”, antologia curata da Piero Chiara e Luciano Erba sulla giovane poesia, pubblicata da Magenta Editrice nel 1954, di Vittorio Bodini non c’è traccia nelle principali antologie di riferimento sulla poesia contemporanea».

Sebbene Bodini sia stato una delle più prestigiose figure del panorama letterario italiano del Novecento, la sua produzione e i suoi preziosi apporti provenienti soprattutto dalla sua appassionata attività di traduttore sono ancora scarsamente conosciuti a livello nazionale, mentre i manuali scolastici, le antologie e le storie letterarie vagamente accennano al suo nome. Si può dire che alla base della damnatio memoriae che ha investito ingiustificatamente lo scrittore salentino vi sono una serie di motivazioni. La prima è che le sue traduzioni, in special modo, del Don Chisciotte, delle opere teatrali di Lorca e dei poeti surrealisti spagnoli, senza pari e soggette ancora alla continua ristampa di Einaudi, non hanno posto il meritato accento sulla sua intensa stagione di prosatore e poeta. Un’altra ragione che spiega la dimenticanza di Bodini si può ravvisare nell’esigua conoscenza delle sue espressioni creative da parte degli specialisti, i quali, recentemente, si sono accostati soltanto alla sua opera poetica, curata per gli Oscar Mondadori nel 1983 dall’amico e collaboratore Oreste Macrì, ignorando gli altri suoi scritti. Questo perché Bodini, morto prematuramente all’età di cinquantasei anni, non riuscì a raccogliere in volume i racconti, i reportage, le prose di critica letteraria e d’arte, disseminati fra giornali e riviste. Un altro aspetto che ha contribuito a sminuire e a ridimensionare l’autore pugliese riguarda la centralità da lui attribuita al Sud nella sua opera, per la quale i critici hanno formulato su di esso giudizi tendenziosi, valutato esclusivamente come un «meridionalista», senza considerare che il Sud è stata in realtà una sua creazione, come Bodini stesso sottolineò in una lettera a Oreste Macrì del 1° febbraio 1950: «Ora questo Sud è mio; come le mie viscere; io l’ho inventato». Come si è visto, la predilezione accordata a questo tema si è caricata di una valenza esistenziale, storica, sociale e antropologica, responsabile della ricchezza e dell’attualità della poesia bodiniana. Ancora all’impossibilità di classificare la produzione in versi e in prosa di Bodini nell’ambito di una precisa corrente letteraria e artistica come l’ermetismo, il neorealismo, il surrealismo, lo sperimentalismo e la neoavanguardia, è da ascrivere uno di quei limiti che hanno condizionato la fortuna critica dell’autore. Bodini, infatti, a causa del suo irriducibile e singolare temperamento, pur essendo stato compenetrato e suggestionato dai principali movimenti letterari del Novecento, si colloca al di fuori di essi. L’Università del Salento, grazie all’Archivio donato dalla moglie del poeta, Antonella Minelli, negli anni Novanta del secolo scorso, ha indirizzato le proprie ricerche all’apprendimento e alla valorizzazione della complessiva produzione bodiniana. All’Archivio, custodito nella Biblioteca Interfacoltà, si sono accostati autorevoli italianisti dell’Ateneo salentino, quali Donato Valli, Mario Marti, Aldo Vallone, Ennio Bonea, che si sono impegnati nello studio di Bodini. In particolare, il Convegno Internazionale di Studi che si è svolto fra Lecce e Bari nel dicembre del 2014, le cui riflessioni sono confluite poi in due tomi curati da Antonio Lucio Giannone (in precedenza docente ordinario di Letteratura Italiana Contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento), ha avuto il merito non soltanto di esporre e di divulgare la multiforme attività artistica di Bodini, ma anche di inserirla nel canone letterario del Novecento, dalla quale era stata ingiustamente esclusa. Al Convegno, suddiviso in sei sessioni sviluppatesi a Lecce e a Bari, completato da una Tavola Rotonda che si è realizzata presso la Libreria Laterza del capoluogo pugliese, hanno partecipato studiosi italiani e stranieri che hanno cercato di indagare e di fare luce sulla complessità e sulla poliedricità dell’opera bodiniana.

Iolanda Vitali

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