BRINDISI – “Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, ma sovente, davanti alle chiese, donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali…”.
(Ottobre 1912 – Relazione dell’ispettorato per l’Immigrazione al congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti).
E’ un passo famosissimo che consente di entrare “in medias res” nel tema affrontato: la memoria storica, quella Historia magistra vitae, come Cicerone insegna, che connota la nostra identità, quel passato da cui partire per comprendere il presente, per capire ciò che siamo in virtù di ciò che siamo stati.
Sarà questo il motivo che sottende il riconoscimento conferito dall’Unesco al Porto di Brindisi come “Monumento di Cultura e di Pace”, perché da sempre il porto di Brindisi è un luogo di incontro e di scambio, Terra di migranti e di commistioni di etnie e culture diverse, crocevia di popoli in cerca di futuro, porto di accoglienza nel Mediterraneo, il mare che unisce, il Mare Nostrum, come lo appellarono i romani.
Un porto da sempre proteso verso l’Oriente, un porto da sempre pronto ad accogliere chi fugge, forse perché bruciante nella memoria degli italiani e di noi Southern italians, come ci appellavano gli americani all’inizio del ‘900, è il ricordo dei nostri “Viaggi della speranza” animati dal Coraggio, un “coraggio che nasce dalla disperazione piuttosto che dalla speranza; perché nel primo caso non si ha nulla da perdere, nel secondo tutto da guadagnare”.
Ma, come racconta Melania Mazzucco nel suo romanzo Vita, ambientato ad Ellis Island nel 1903, gli italiani “hanno attraversato l’oceano carichi del solo peso dei propri sogni. Come bagaglio una federa sgualcita, qualche dollaro americano, forse una foto. Per i giornali di allora e per gli americani stessi, gli immigrati furono sinonimo di delinquenza, sporcizia e degrado; Ma non bisogna dimenticarsi che furono proprio gli immigrati di quel periodo a costruire buona parte della loro patriottica America.
Sbarcano in migliaia ad Ellis Island, vengono schedati, annotati, palpeggiati e umiliati, mentre dietro di loro svetta altissima la Statua della Libertà sul cui piedistallo è scritto:
“Tenetevi, o antiche terre, la vostra vana. Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata”.
Ora come allora, la storia si ripete: stesse spinte disperate, stessi sogni vagheggiati, stesse speranze di rinascita, “perché non c’è notte tanto lunga, da non poter permettere al sole di rinascere” (Jim Morrison).
Ma negli occhi dei nostri fratelli migranti spesso si legge la paura, il dolore, le lacerazioni dell’anima di chi non rivedrà più i propri cari, di madri che hanno visto morire i propri figli impotenti, di bambini soli che tentano la corsa disperata verso un futuro, sfidando un mare che talvolta accoglie, nel suo pianto benevolo di Mater lagrimosa, ma spesso inghiotte in un Nulla eterno ogni barlume di speranza, ogni afflato di vita, uccidendo nell’anima, anche chi, su queste coste, alla fine, riesce a metter piede, portandosi dietro le sevizie, le torture, i figli degli stupri di massa, che annientano ogni vitalismo del cuore e dell’anima.
Ecco perché spieghiamo ai nostri ragazzi, attraverso l’incontro con l’altro diverso da loro, che al peggio non c’è mai fine, che nella condivisione del dolore si allevia la sofferenza, che c’è qualcuno che, pur avendo abbracciato per l’ultima volta i propri cari, pur avendo subito torture e violenze, pur avendo perso tutto, ha ancora lacrime per piangere, quelle stesse lacrime che si sono trasformate nei cristalli che avvolgono la Kater I Rader, la “barca dell’assenza” come l’ha definita lo stesso scultore Costas Varozos, un “monumento per tutti i migranti morti in mare”, a rievocare la strage del venerdì santo del 28 marzo 1997 in cui 81 corpi annegati galleggiavano nel canale di Otranto.
E ancora…Era il 3 ottobre del 2013 quando un barcone affondò vicino a Lampedusa: solo quel giorno morirono 366 persone. Da lì l’operazione “Mare Nostrum”…ma questa è un’altra storia.
Fermiamoci un solo istante, proviamo a scomporre questo numero enorme in tante singole persone e ad associare ad ognuna un nome, un volto, desideri, sogni, paure, debolezze: così possiamo capire quanto grande sia la tragedia che si consuma giorno dopo giorno a largo delle nostre coste. I barconi affondano anche sotto il peso del fardello delle storie di chi fugge da orribili tragedie, da guerre, da povertà assoluta. Sono uomini e donne come noi che però non hanno più nulla e che cercano disperatamente un futuro.
Il 16 marzo 2016 la Repubblica italiana riconosce il giorno 3 ottobre quale “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”, una legge, a detta di alcuni politici di turno, “inutile, ipocrita e propagandistica che consente a chi è responsabile di speculazioni sull’accoglienza, e di operazioni belliche che alimentano i flussi migratori, che consente semplicemente di lavarsi la coscienza”…intanto quei cadaveri…galleggiano.
E ancora: “Sono già state istituite 252 giornate celebrative, l’iniziativa appare dunque inflazionata, ipocrita e offensiva” …intanto quei cadaveri galleggiano.
Signori, tutto per un atto di civiltà, per un gesto di rispetto della vita umana, dispersa in mare, nell’angoscia dell’impotenza, nella disperazione di non poter tendere un braccio e afferrare quella mano che lentamente viene inghiottita dal mare; quella mano che a metà tra luce e tenebra, tra vita e morte, tra speranza e destino resta conficcata come un chiodo arrugginito nei nostri cuori, a rammentarci, come nella peste di manzoniana memoria, che la civiltà è figlia della bestialità, dell’abbrutimento, della disumanità che si fa feroce di fronte allo spirito di sopravvivenza; per poi tornare civiltà dell’indifferenza e progresso del pregiudizio e della discriminazione.
No! A questa barbarie delle menti, a questo progresso dell’inciviltà, a queste leggi che alimentano il terrore di fronte a ciò che è diverso da noi, sconosciuto, distante, incomprensibile…i miei ragazzi, i miei docenti, le mie 5 scuole disseminate in 4 comuni della provincia di Brindisi dicono NO e ancora NO!,
Perché, come afferma Sant’Agostino, “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle”.
Ma il cambiamento richiede tempo, pazienza, e soprattutto, certezza che, qualunque sia l’esito, l’incontro è ricchezza, la diversità è crescita, l’abbraccio è una “flebo d’amore”, e l’amore è contagioso, perché è il motore che “move il sole e l’altre stelle”, l’energia primordiale che dà vita e genera nuove e perenni primavere.
Ecco, l’amore, sì, senza il quale la vita non merita di essere vissuta, in tutte le sue forme, l’amore che insegniamo ai nostri ragazzi per aiutarli a riconoscere le proprie emozioni e salvarli dall’analfabetismo emotivo, alla base di tanta violenza e aggressività giovanile. E talvolta i risultati sono sorprendenti; due anni fa uno straordinario risultato in MALEVITE, con i detenuti della Casa Circondariale di Brindisi, realtà che molti nostri ragazzi vivono sulla propria pelle; quest’anno una commovente esperienza di accoglienza, amicizia, fratellanza: incontri che cambiano il mondo.
Due progetti che nascono in piena autonomia: da un lato un PON inclusione, che coinvolge ragazzi disabili, ragazzi a rischio di devianza, studenti con disagi socio-culturali e che vede recitare sul palcoscenico i nostri ragazzi più SPECIALI, quelli su cui nessuno scommetterebbe un centesimo e su cui invece noi abbiamo posto la sfida, sfida vinta con il successo di questa serata; dall’altro lato un progetto FAMI (Fondo Asilo Migrazione e Integrazione) coordinato dall’Ente di formazione Quasar, presente in sala e che ringrazio per questa splendida opportunità; il nostro 2^ progetto FAMI promosso e finanziato dal Ministero dell’Interno, (ahimè, forse l’ultimo), finalizzato all’integrazione e all’inclusione sociale dei migranti richiedenti asilo, un’esperienza che l’IPSIA “Ferraris” ha accolto andando controcorrente, in un periodo in cui la nevrosi del “negro”, causa di tutti i mali degli italiani, è dilagante, un momento storico in cui si muore per il semplice fatto di essere “negro”; il tempo in cui Soumaìla Sacko è ucciso per il semplice fatto di essere “negro”.
La sfida più ardua? Trasformare i muri della diffidenza tra studenti e immigrati in ponti e poi in luce che concilia col mondo e con la vita. I nostri ragazzi erano scettici, riluttanti allo scambio e al confronto, impensabile un contatto fisico, utopistico un abbraccio. Ma i “miracoli sono sull’uscio di casa. Basta saperli accogliere come fiori sbocciati in un deserto di sabbia. Sono fatti di amore, chiarezza, speranza (Romano battaglia).
I nostri obiettivi pedagogici e formativi sono stati realizzati tutti, ma stasera qui si consuma un altro miracolo: un teatro gremito non solo di spettatori curiosi, ma una presenza significativa di esponenti delle istituzioni, Provincia e Comune in testa, a cui va il merito di aver concesso il patrocinio morale dell’evento, rappresentanze civili e militari, in primis il prefetto di Brindisi dott. Valerio Valenti, che nel suo primo discorso del 02 giugno 2017 a Brindisi, ad appena due giorni dal suo insediamento, non mancò di emozionarsi di fronte ad una città che si connota per il forte spirito di accoglienza; il questore di Brindisi dott. Maurizio Masciopinto, che incita al Coraggio, “Abbiate coraggio”, il suo hashtag ricorrente; le forze di presidio alla pubblica sicurezza, Guardia di Finanza e Carabinieri, la polizia locale, la Capitaneria di porto, che tanta parte ha nel contenere la bestialità di una disumana civiltà, salvando vite in mare in condizioni estreme; rappresentanti degli Enti e associazioni di categorie (Confindustria, Confartigianato, Confesercenti, Ance, Federalberghi, Ordine degli Avvocati, Ordine degli Ingegneri); il mondo del Volontariato, del 3° settore con il CSV Poiesis in testa; il mondo della cultura, dei musei, delle biblioteche, dell’istruzione, l’Università del Salento; ma l’onore più grande per me come cittadina, per la scuola che rappresento, per la città che scorre nelle nostre vene è aver aperto il nostro Teatro Verdi, il cuore pulsante del nostro patrimonio artistico-culturale ad ospiti speciali, gli ospiti dei Centri di accoglienza del CARA di Restinco, della ONLUS Integra di Brindisi, del CAS Auxilium di Carovigno, degli SPRAR di S.Pietro, Villa Castelli, Mesagne, la scuola di italiano Migrantes, e tutto il mondo del volontariato, a cui va il mio più autentico e profondo GRAZIE, perché a loro devo il sostegno e il conforto nei momenti bui del mio mandato dirigenziale sulla sede dell’IPSIA Ferraris, persone che hanno colmato e continuano a colmare uno spaventoso vuoto istituzionale avvertito dai Brindisini come una condanna irrimediabile.
E invece…qualcosa nell’ultimo anno è accaduto: nella tragedia del crollo dell’ultima amministrazione, come un Deus ex machina il prefetto Valenti ha voluto affidare il commissariamento della città al dott. Santi Giuffrè; un grande Uomo di Stato che ha portato con sé in questo angusto incarico, la sua esperienza, l’alto senso del dovere, il forte impegno morale, il senso dell’onore e il valore delle istituzioni e un profondo agire nella correttezza amministrativa e nella legalità.
Per quanto talvolta fortemente avversato nelle sue scelte, il dott. Giuffrè, a pochi giorni dalla scadenza del suo mandato, ha rappresentato per la nostra comunità, una rinascita, uno stimolo per uscire dalla tenebrosa rassegnazione che tanto, a Brindisi, non potrà mai cambiare nulla e che il malaffare e la malamministrazione è ormai… un topos letterario.
Se non avessi visto con i miei occhi il dott. Giuffrè sbattere i pugni sul tavolo e imprecare contro il malcostume dell’indolenza, dello scaricabarile, della negligenza, dell’interesse di parte, dell’indifferenza, non ci avrei creduto.
Ma ciò che Lei dott. Giuffrè ha insegnato a tutti quanti noi, in questo glorioso angolo di mondo, è il potere della resilienza, perché “La speranza da sola non basta. Occorre un’altra risorsa per superare i traumi, per vincere i dolori del passato, per risollevarsi dopo ogni caduta, per rimarginare le ferite, per sfuggire ai tranelli di una rassegnata depressione (…). E questa seconda risorsa è la resilienza”. Lei, dott. Giuffrè, “ci ha restituito il potere di cambiare radicalmente il nostro agire quotidiano partendo dall’amore per questa terra affascinante e fascinosa, sollevandola dal torpore delle coscienze cui alcuni si ostinano a volerla condannare. Il nostro emerito Presidente Sandro Pertini diceva: “oggi servono due qualità: l’onestà e il coraggio”. E lei, dott. Giuffrè è onestà e coraggio!!!
L’IPSIA “G. Ferraris”, ma anche l’IISS “De Marco-Valzani”, in sala con circa 100 presenze, e la comunità brindisina qui presente, la Brindisi buona, quella che opera in silenzio, lontano dal clamore e dai riflettori, quella vera, quella autentica, quella che rende grande una grande città re4nde omaggio a Lei, Commissario Giuffrè; ma è anche un omaggio da tutta la comunità di migranti presenti in città, per la sua opera di bonifica del dormitorio di via Prov. le San Vito, uno dei luoghi più degradati della città, oggi tornata ad un livello di allarme sociale e criminale altissimo.
Al Commissario prefettizio Santi Giuffrè,
L’IPSIA “Galileo Ferraris” e la città “buona” di Brindisi omaggia il Dott. Santi Giuffrè, grande Uomo di Stato, espressione di onestà e coraggio, con “Mare Nostrum”, scultura in argilla smaltata e colori ceramici, realizzata dal Prof. Massimo De Gironimo.
L’opera riproduce la mano impressa sulla locandina di questo evento; una mano che sta affondando, come la nostra città, ma disperatamente si tende verso il cielo invocante il desiderio di salvezza e libertà.
A Lei, dott. Giuffrè, non solo per quello che è come Uomo, Cittadino e Garante dello Stato, ma per quello che siamo noi da quando Lei ha toccato terra sulle nostre coste.
Con profonda Gratitudine.
Rita Ortenzia De Vito, dirigente scolastico dell’IPSIA Ferraris e dell’IISS De Marco-Valzani