La filosofia spiegata con le serie tv di Tommaso Ariemma

Mentre il numero dei lettori di libri è in progressivo calo (-3,1% nel 2016: è il triste dato contenuto nel Rapporto sullo stato dell’editoria 2017, con l’Italia che – nel confronto con gli altri paesi del mondo – registra la percentuale più bassa di lettori) e la critica letteraria dibatte la questione della morte del romanzo, sembrerebbe che la narrazione e l’esercizio della creatività abbiano da un po’ individuato nuovi territori in cui esplicarsi e dettare il tempo del gusto estetico contemporaneo: le serie tv.

Non c’è esperienza quotidiana, articolo di rivista, programma televisivo che non contenga un rimando o una citazione ad una serie televisiva: senza voler scomodare l’illustre capostipite Twin Peaks, come non riconoscere di aver quanto meno sentito nominare una volta House of Cards, Mad Men o Breaking Bad? La serialità piace e, al netto del considerevole impatto del marketing, fornisce esempi di forme narrative intelligenti, di prodotti artistici che possono vantare «pensiero, qualità di scrittura» e diventare oggetto di sfida per la filosofia giocando sul loro stesso terreno, quello cioè della comprensione del nostro tempo e del suo destino. Tommaso Ariemma nel suo La filosofia spiegata con le serie tv (Mondadori) ci racconta dell’esito più che fausto della sfida e lo fa a partire dalla sua esperienza di pop-filosofo e docente liceale. Prendiamo il caso di Lost: Kant probabilmente si sarebbe trovato in ottima compagnia, insieme a Locke e a Rousseau, e avrebbe di certo destato la più sincera ammirazione dei suoi compagni superstiti, e non solo grazie alle dodici categorie con cui sbrogliare la fitta coltre di mistero dell’isola, o all’intuizione dello spazio e del tempo. Ad avere il filosofo di Königsberg tra i personaggi della serie, e se la sua vita ci fosse diventata accessibile attraverso uno dei flashback che originano gli splendidi rivoli di narrazione secondaria, forse capiremmo la portata di un’idea estetica e avremmo una bussola per orientarci tra le cose straordinarie dell’esperienza. O, ancora, la doppiezza, le continue ambiguità, il relativismo etico di chi è sopravvissuto ispirerebbero meno paura se solo si percepisse, all’esterno, il cielo stellato e si scegliesse, all’interno, la legge morale.

Diana A. Politano

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