Byung-Chul Han è un filosofo nato a Seul che insegna filosofia e teoria dei media a Berlino. Negli ultimi anni ha pubblicato alcuni saggi sulla globalizzazione e sugli effetti delle nuove tecnologie sugli esseri umani e sulla società.
Le riflessioni di Han sono dedicate al nuovo popolo che vive nel mondo dei media digitali e che lui ha definito “sciame digitale”: una comunità composta da individui anonimi che solo apparentemente condividono pensieri e azioni, ma che spesso si perdono nella conta dei “mi piace” e non riescono a trovare modalità efficaci per esprimere le loro energie collettive.
La principale caratteristica di questa nuova folla senza anima e spirito è il permanente stato di eccitazione che si traduce in forme di scrittura emotiva ed informale.
“Le ondate di indignazione sono molto efficaci nel mobilitare e mantenere desta l’attenzione […] tuttavia, non sono in grado di strutturare il discorso […] montano all’improvviso e si disfano altrettanto velocemente”, scrive Han per segnalare che la protesta digitale è molto spesso effimera, contingente, sterile e tende sempre più a sostituire le forme di protesta storica a cui siamo stati abituati prima dell’avvento di Internet.
In questo contesto, il pubblico (in particolare quello più giovane) viene sempre più coinvolto nel sensazionalismo digitale con i suoi picchi che degradano rapidamente in calma piatta, o vengono a loro volta superati da nuovi picchi, delineando così un’idea di massa popolare superficiale e distratta che si muove come una sorta di nebulosa gassosa che appare e scompare nella sua evanescenza.
Per questo lo sciame digitale esprime un potere debole e apparente, che non incide efficacemente proprio perché non crea un “contropotere”.
L’applicazione di queste controverse dinamiche collettive alla sfera della comunità sociale assume poi un valore addirittura esiziale per la dialettica tra Società ed Istituzioni.
La partecipazione politica – in questa triste epoca di partiti rinchiusi in uno ristretto recinto di casta e incapaci di offrire un’efficace rappresentanza democratica – è ormai un appannaggio della “democrazia digitale”, popolata da “cittadini di tastiera” che esprimono consenso o dissenso con un clic.
Ormai siamo entrati nella democrazia dei “mi piace”, la cui efficacia temporale è quasi nulla, rappresentando unicamente espressioni contingenti che non riescono a costruire una reale dialettica politica in grado di giungere ad una sintesi effettiva di costruzione del consenso (o del dissenso).
Conclusivamente, si può affermare che è stata inaugurata la fase della “psicopolitica”, nella quale il potere non ha più alcuna necessità di interdire, censurare, sopprimere la libertà, ma anzi si mostra parecchio permissivo nei confronti di chi si è volontariamente rinchiuso in un circuito sterile di lamentele ed aggressività gratuite e nel quale la mediocrità ed il conformismo si sono imposti irresistibilmente.
Non c’è più alcun interesse verso i temi della costruzione di una comunità, ma solo nei confronti della lamentazione per la cattiva politica, proprio come il consumatore si lamenta di merci e servizi che non lo soddisfano.
I politici diventano quindi, banalmente, i fornitori di questo deprimente servizio e la trasparenza viene invocata non già per svelare, comprendere e controllare i meccanismi decisionali, ma solo per trovare più facilmente presunti vizi dei vari personaggi da fustigare pubblicamente.
A ben riflettere, tutti questi sono ingredienti di una democrazia da spettatori, nella quale il cittadino guarda l’azione invece di agire, mentre il suo status si rimpicciolisce e i suoi diritti non sono più quelli del protagonista, ma del pubblico pagante: quello che fa numero, ma non fa più opinione.
Al posto delle ideologie ora ci sono le emozioni, dove c’erano i valori crescono i sentimenti, spesso nella forma del grande risentimento collettivo che è diventata la cifra del nostro scontento, mentre ci incamminiamo distrattamente a sopravvivere in una società ormai privata dei suoi valori fondanti.
Pino Marchionna
Caro Pino, ormai FB,del quale, ammetto, sono anche io fruitore, è un’azienda senza patrimonio. Se tutti smettessimo di utilizzarlo diverrebbe un “pallone sgonfio”. È l’esatta immagine della mancanza di quei valori che molti dovremmo avere.
Franco Santoro.