Un’interessante analisi dei risultati del referendum – compiuta da Marco Valbruzzi, ricercatore dell’Istituto Cattaneo di Bologna – ha sottolineato il fatto che «prima che un voto “tecnico” sulla riforma costituzionale o “politico” sul governo Renzi, è stato un voto “sociale”. “La rabbia” che cova in alcuni strati della società esplode appena si apre uno spazio utile allo sfogo. È il No di chi non si sente rappresentato e che sale sul primo tram che passa e scoppia nella rabbia del voto».

L’interpretazione mi sembra corretta e poco opponibile.

Se poi alla generalità degli elettori che volevano sfogarsi e mandare un chiaro segnale di disagio, aggiungiamo lo specifico del dato generazionale che indica l’81% di NO tra i giovanissimi (18-34 anni) e il 67% tra quelli di età media (35-54 anni), abbiamo la giusta contezza della miscela esplosiva che si è innescata lo scorso 4 dicembre.

Questa interpretazione non lascia molto spazio a rivendicazioni di vittorie o addebiti di sconfitte, vista l’ottusità e la cecità che tutta la classe politica riserva all’imponente “schiacciamento generazionale” della società italiana.

Nel nostro Paese continua ad essere garantito solo chi lavora o ha già lavorato (attraverso concertazione, dialettica sindacale, ammortizzatori sociali), oppure chi esercita una professione tutelata da ordini e corporazioni (notai, magistrati, ingegneri, architetti, giornalisti, ecc.). Gli unici che continuano a essere diseredati sono i giovani, quelli che un lavoro non lo hanno mai visto neanche con binocolo, che vengono sempre più schiacciati verso il basso della scala sociale, a prescindere dai propri meriti e dai propri bisogni.

Ecco perché è stata impressionante la quantità di rabbia che si è abbattuta sulla campagna referendaria, tanto da indurre Renzi a pronunciare la famosa frase «non credevo che gli italiani mi odiassero tanto …».

Aver trascurato gli effetti della morsa della crisi soprattutto tra i ceti sociali che più l’hanno patita è stato sicuramente il più grande errore, molto più della personalizzazione del referendum, del desiderio di vendetta dei “rottamati” del PD e dell’impatto dei social media orchestrato da Grillo.

Da qui bisogna ripartire. Non solo Renzi, ma tutti quelli che pensano che l’Italia possa ancora coltivare il sogno di un futuro di progresso e di benessere.

Si pone davanti a tutti i protagonisti della politica il problema di offrire una opportunità di canalizzazione democratica di questo enorme disagio che non trova più nelle istituzioni la sua naturale interlocuzione.

La politica è l’arte di convogliare simbolicamente l’odio e la rabbia in azioni di trasformazione e di cambiamento della società. Per questo considero miope chi in questi giorni gode del disastro compiuto, senza valutare appieno la natura autodistruttiva di quest’odio che sale dalla società dirigendosi verso le istituzioni e chi le rappresenta.

E’ sempre più evidente la prospettiva di consegnare alle nuove generazioni un Paese molto peggiore di quello che ci era stato consegnato. Per questo credo sia arrivato il momento di riflettere sulla consistenza effettiva dell’eredità che ci apprestiamo a trasmettere a chi verrà dopo di noi. E il quadro non si presenta affatto incoraggiante…

Se a destra va in scena un dramma insieme personale e collettivo incarnato da un Berlusconi che non indica eredi, condannando così il centro-destra ad una inevitabile sterilità politica, dall’altro capo Beppe Grillo appare un padre politico non interessato ad allevare una nuova classe dirigente, ma solo a cogliere l’opportunità di una convergenza occasionale di arrabbiati e di scontenti, organizzata e diretta da un dialogo unidirezionale ispirato alla logica del “o con me o contro di me”.

Per questi motivi – pur dopo la sconfitta – resta ancora in gioco la sinistra democratica, oggi imbambolata e annichilita da una battuta d’arresto che nessuno immaginava di queste proporzioni.

In fondo a questo tunnel di grandi tensioni sociali, mi sembra che la sinistra democratica rimanga l’unica area politica in grado di esprimere quella solida cultura di governo intrisa della ragionevole consapevolezza che per rendere governabile un Paese ricco e complesso come l’Italia sia assolutamente necessaria una grande capacità di mediazione e di convergenza tra storie ed approcci diversi.

www.pinomarchionna.it

2 COMMENTI

  1. Marchionna ancora non ha capito, che il suo tempo come la sua visione politica son passati. La sua analisi da prima repubblica è stantia e inopportuna, perchè continua (non so se consapevolmente) a portare fuori strada la gente. Questo suo insistere sulla dicotomia politica, irrita. Oggi la vera causa della crisi, è addebitabile solo ai politici, ignoranti alcuni, conniventi e subordinati gli altri, alle logiche di un mercato che è divenuto l’unico Dio a cui prostrarsi. Oggi chi vuol fare una seria analisi politica deve partire dalla supremazia della finanza nei confronti della politica. Ancora non si è capito che è la matrix che va combattuta, bisogna cambiare il paradigma. La lotta deve prescindere da colorazioni politiche e dagli uomini che fanno parte degli schieramenti politiche, il bivio che ci si trova di fronte è: da una parte la schiavitù e dall’altra la vera democrazia. La rabbia dei giovani e non solo, può essere il volano che porterà l’intera società a interrogarsi seriamente e si spera che la svolta la può dare solo l’uomo e non il mercato.

  2. Marchionna ancora non ha capito, che il suo tempo come la sua visione politica son passati. La sua analisi da prima repubblica è stantia e inopportuna, perchè continua (non so se consapevolmente) a portare fuori strada la gente. Questo suo insistere sulla dicotomia politica, irrita. Oggi la vera causa della crisi, è addebitabile solo ai politici, ignoranti alcuni, conniventi e subordinati gli altri, alle logiche di un mercato che è divenuto l’unico Dio a cui prostrarsi. Oggi chi vuol fare una seria analisi politica deve partire dalla supremazia della finanza nei confronti della politica. Ancora non si è capito che è la matrix che va combattuta, bisogna cambiare il paradigma. La lotta deve prescindere sia dalle colorazioni politiche, sia dagli uomini che fanno parte degli schieramenti politici. Il bivio che ci si trova di fronte è: da una parte la schiavitù e dall’altra la vera democrazia. La rabbia dei giovani e non solo, può essere il volano che porterà l’intera società a interrogarsi seriamente, e si spera che la svolta la possa dare l’uomo e non il mercato.

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