Le risultanze del confronto demografico nei comuni della provincia di Brindisi, su dati consolidati, nel decennio 2011-2021 delineano un potenziale quadro di crisi.
È ben noto che l’Italia, come molte altre economie sviluppate, stia vivendo un momento di invecchiamento e di denatalità. Si ricorda ad esempio che il 2020 è stato l’anno con il minor numero di nati dall’unità d’Italia (404 mila).
Pertanto la decrescita della provincia di Brindisi (vedi Fig. 1), seppur in linea con l’andamento della denatalità nazionale, assume dimensioni molto preoccupanti. Consideriamo che in 10 anni la provincia di Brindisi ha perso circa 22 mila abitanti, E’ come se i tre comuni più piccoli (Tuturano, San Michele e Cellino) fossero scomparsi, oppure una città di medie dimensioni della provincia ad esempio Ceglie Messapica. Chiaramente non è scomparsa alcuna città ma questi esempi cercano di dare una dimensione concreta di quello che sta accadendo intorno a Noi.
Il decremento demografico, pur generalizzato, ha ripercussioni sugli scenari futuri. Di un futuro prossimo che quindi ci riguarda da vicino. Definire i possibili scenari futuri sono (o dovrebbero essere) gli strumenti a supporto delle decisioni di politica economica e sociale che si compiono oggi. Un probabile scenario vede, ad esempio, che nel 2050 (tra appena 22 anni) una popolazione sempre più vecchia, che potrebbe avere un solo giovane ogni tre anziani, questo impatta notevolmente sugli aspetti pensionistici, ma soprattutto socio-sanitari, richiedendo quindi impegni preventivi da parte della politica. La stessa politica dovrà fare i conti con la decrescita demografica, nel 2025 la Regione Puglia dovrà avere 40 consiglieri invece degli attuali 50. Questo significherà che la provincia di Brindi perderà almeno 2 degli attuali 5 consiglieri regionali assegnati.
Modificare il trend demografico è difficile. Bisogna provare a unire interventi specifici e riforme strutturali che siano in grado di creare condizioni favorevoli per rilanciare le nascite. Anche se i nostri territori subiscono anche l’effetto del cosiddetto tasso migratorio. Il tasso migratorio è di fatto la differenza tra chi emigra, verso altri territori e chi invece decide di stanziarsi in determinato territorio. Questo “travaso” da una realtà geografica ad un’altra che offre più opportunità lavorative e sociali ha consentito, ad esempio, che Francavilla Fontana dal 1861 al 2011 avesse sempre una crescita demografica, che tra il 1981 e 2011 (circa 30 anni) è stata di tipo quasi esponenziale. Dovuta ad una sensibile immigrazione da altre realtà geografiche limitrofe e non. Questa tendenza è svanita (vedi Fig. 2) nel decennio 2011-2021 per la prima volta dopo oltre un secolo il comune di Francavilla è in sensibile decrescita. Certamente anche per effetto della denatalità, ma non si può eludere l’effetto del tasso migratorio. Emigrazione che riguarda soprattutto la fascia dei giovani, dai 25 ai 34 anni. Quella emigrazione determina un doppio effetto. 1) Riduce la capacità produttiva economica e sociale, che questi giovani potrebbero produrre nei territori nativi, trasferendola altrove. 2) Il trasferimento in altri territori, soprattutto esteri, determina una maggiore flessione delle natalità, poiché con molta probabilità questi giovani emigrati formeranno la propria famiglia nei nuovi territori che li ospitano.
Il fenomeno dell’emigrazione dei nostri giovani (vedi Fig. 3) dalla terra natia ha la sua influenza sulla riduzione della popolazione e sull’economia dei nostri Territori. Una economia debole determina poche opportunità per i giovani che dignitosamente cercano altrove, quasi sempre all’estero, un’occasione di vita per se stessi.
Dinanzi ad una simile situazione cosa noi possiamo fare? Intanto prenderne atto, sul piano sociale collettivo. Mentre sul piano politico amministrativo locale, si possono incalzare, attraverso la “moral suasion” (persuasione morale), le nostre Amministrazioni locali, affinché tengano conto delle evoluzioni demografiche, nella programmazione degli investimenti e delle azioni da condurre oggi. Ha poco senso, ad esempio, investire in una mega struttura scolastica magari anche da costruire in periferia, quando servirebbe potenziare sistemi di assistenza sociosanitari di prossimità nel centro città. Oppure adottare politiche della mobilità che certamente devono essere sostenibili, non solo in termini ambientali, anche rispetto alle necessità di una mobilità più consona alla maggiore presenza nella popolazione di cittadini con difficoltà motoria per via della maggiore età. Cosi come investire nel recupero di beni pubblici non fine a se stesso ma come elemento di rilancio di opportunità diffusa in ambito economico e sociale. Sostenere le iniziative economiche e sociali nonché di partecipazione, soprattutto dei giovani, non certamente massacrarle con balzelli regolamentari e tributari. La politica locale alzi il proprio livello d’azione in considerazione della riduzione della popolazione per cui dovrebbe intervenire.
*Presidente associazione Nova Era