Ci sono libri con il potere di dischiudere mondi, epoche e atmosfere nello spazio di alcune decine di pagine: Nina Berberova ha consegnato ai suoi lettori uno di quei libri. L’accompagnatrice, scritto nel 1934 e pubblicato in Francia per la prima volta nel 1985 (in Italia, per Feltrinelli, due anni dopo) è un romanzo breve, ambientato nella Russia del 1919, capace di sondare con estrema sottigliezza lo sfaccettato evolversi del rapporto che lega Sonečka a Maria, la povera pianista alla ricca ed ammirata cantante.
Una relazione professionale che per la prima diventa esclusiva, sostituendosi al flebile legame con la madre e che – se all’inizio si caratterizza per la fascinazione esercitata sulla pianista dallo scintillante mondo della bellissima Maria – assume profili ambivalenti, in cui nessuna pulsione irrazionale trova freni, e persino il realizzarsi di un’ipotesi delittuosa appare quale lecito ristabilirsi di quell’equilibrio rimasto fino ad allora estraneo ai così diversi destini delle due donne. A dare impulso alla narrazione, e a determinare in noi lettori un incantesimo ulteriore, troviamo il topos letterario del ritrovamento del manoscritto – espediente che inevitabilmente, nella misura in cui ci rende imprevisti conoscitori di privatissime memorie, contribuisce ad avvicinarci ancor più al centro della vicenda e permette di andare oltre al suo epilogo, immaginandone ogni successiva deriva. In un improbabile trattato sugli effetti procurati in chi legge da un buon libro, il persistere di un legame invisibile con le atmosfere rese attraverso la scrittura figurerebbe di certo tra i fenomeni più sintomatici: ebbene, L’accompagnatrice condensa molteplici nuclei di riflessione e il lettore si ritrova irresistibilmente attratto in un vortice emotivo che resiste all’ultima pagina.
Diana A. Politano