La crisi del vecchio apparato industriale e le conseguenze sanitarie, economiche e sociali del COVID-19 impongono una riflessione e una discussione scevra da fondamentalismi e ricca di confronto, quanto mai necessaria per un ripensamento sul futuro economico e produttivo della città.
Alla sua definizione può e deve contribuire certamente un’altro tipo di industria, meno pesante e non inquinante, ma un contributo lo può e deve dare anche l’agricoltura del territorio. Purtroppo l’agricoltura non riscuote attenzione e interesse da parte delle istituzioni e della politica se non per evidenziarne alcune emergenze come la Xylella o fenomeni negativi come il caporalato.
In queste settimane si è riaperto un dibattito sullo sviluppo e si sono letti documenti interessanti proposti da sindacati e da associazioni di categoria, prese di posizioni, interviste di amministratori che parlano di uno sviluppo che a Brindisi non è un sogno e di futuribili programmi di fondi pubblici, ma il ruolo dell’agricoltura continua ad essere assente e ignorato. E su di essa pesa la disastrosa politica agricola regionale di questi ultimi anni.
L’agricoltura in Italia e soprattutto nel sud sta dimostrando invece segni di vitalità e di sviluppo ben superiori a tutti gli altri settori (+7%) come dimostrano recenti dati della Svimez e dell’Istat.
La città di Brindisi per superficie agraria è la città pugliese, dopo Foggia, con l’agro più esteso arrivando fino ai confini di Mesagne, Sandonaci, San Pancrazio, San Pietro, Cellino,Carovigno,San Vito. In provincia di Brindisi il peso dell’agricoltura sul valore aggiunto è passato dal 3,9% del 2005 al 6,5% del 2016 mentre l’industria, nello stesso periodo, dal 19% al 17%.
Gli addetti nell’industria sono 20.000, in agricoltura sono 13.000. In città, in proporzione, i rapporti sono più o meno gli stessi. Ma il settore agricolo rimane privo di considerazioni e di attenzione e assente dal dibattito pubblico. La responsabilità è anche delle associazioni di settore che dovrebbero farsi ascoltare e non limitarsi alla assistenza difensiva e lamentosa dei propri associati. Da queste ultime ci si aspetterebbe maggiore protagonismo propositivo.
Brindisi è l’unica città capoluogo del sud che ha una tradizione vitivinicola, i vini del suo territorio sono di Denominazione d’origine Protetta e che fece del vino, nei secoli passati, una delle sue principali ragioni e condizioni di sviluppo produttivo e urbanistico.
Le fornaci per la costruzione in epoca romana di anfore vinarie, i tantissimi stabilimenti vinicoli, tutti distrutti o dati alla rendita e alla speculazione edilizia,l’utilizzo,in varie epoche, del porto per il trasporto del vino che si produceva nel territorio,sonoforse la testimonianza più significativa della storia agricola e vitivinicola della città.
La superficie agraria destinata alla viticoltura fino agli anni ottanta,prima degli svellimenti incentivati dei vigneti era, a Brindisi, quattro volte superiore a quella attuale. Altre realtà con le vigne e il vino hanno fatto le loro fortune,a Brindisi sono prevalsi inveceprematuramente sfiducia e abbandono.
Non si è stati capaci, introducendo e sostenendo le innovazioni necessarie, di valorizzare il saper fare dei nostri contadini,la qualità dei nostri terreni. Anzi molte delle nostre produzioni sono state e sono valorizzate,trasformate e utilizzate in altri contesti anche vicini in un rapporto positivo tra produzioni agricole,cibo,territorio,cultura.
Si possono valorizzare e utilizzare a Brindisi le sue tradizionali produzioni, il suo saper fare agricolo,i suoi terreni,la sua pianura,il paesaggio delle campagne,per ripensare anche così il suo futuro?
Nuovi giovani imprenditori brindisini oltre che grandi imprese venute da fuori ci stanno provando ed anche con successo. Nuove coltivazioni crescono, nuovi e più moderni impianti viticoli si stanno diffondendo. Ma l’impegno devo andare oltre e deve coinvolgere il sapere e l’innovazione. L’agricoltura ne ha tanto bisogno. Il vecchio saper fare non basta più. Anche la cittadella della ricerca e la stessa Università del Salento andrebbero incalzate per alzare uno sguardo a questo settore.
Gli elementi che non possono mancare sono oggi anche il saper raccontare (comunicazione, marketing,brand), il saper vendere(internazionalizzazione, e commerce, cercare e creare nuovi mercati),il saper innovare (tecnologie di conduzione e di buona e sana coltivazione dei processi produttivi), il saper ricavare nuovi prodotti dalle vecchie produzioni.
Che sia cultura o storia, biologia o chimica, è il sapere l’elemento di maggiore valore anche per l’agricoltura.
E poi tutto è collegato. Una sana agricoltura fondata sui saperi fa bene alla salute. Una buona agricoltura tutela il territorio e il paesaggio. Un paesaggio e un territorio ben tutelato attira il turismo, soprattutto quello di qualità. Il turismo di qualità va alla ricerca di benessere e di cibo sano, crea nuova occupazione, incentiva l’artigianato di territorio.
Anche questo è un messaggio utile per il nostro futuro, per il futuro di questo territorio che può riscoprire tutte le sue potenzialità, ridando alla terra e alla agricoltura il ruolo perso o abbandonato. E non è anche questo un patrimonio da far conoscere e far apprezzare ai turisti, compresi quelli delle crociere?
È questa la scommessa che facemmo cinque anni fa con il compianto Vittorio Stamerra e agli altri soci quando decidemmo di costituire Tenute Lu spada, una azienda vitivinicola biologica con l’ambizione di valorizzare, con tutti i nostri limiti di ultimi arrivati, il territorio e un settore dalle grandi potenzialità.
I risultati ottenuti ci stanno dando ragione. È possibile.
È giusto pensare da qui in avanti al settore primario anche attraverso una visione più ampia dove gli aspetti innovativi offrono spunti interessanti di reale cambiamento.
Si può dare così una prospettiva alle nuove generazioni interessate e attratte dalla campagna e dalla agricoltura. E si darebbe anche un po’ di fiducia e di considerazione ai nostri agricoltori ancora disperati, per i costi di produzione o per le varie crisi agricole e di mercato che subiscono.
Sarebbe già un ottimo segnale di discontinuità per la città e per l’agricoltura brindisina se l’amministrazione comunale, purtroppo ancora disinteressata a questa parte importante del suo ricco agro, riuscisse a considerare il settore per il contributo che già dà alla economia del territorio e a quanto può ancora dare per lo sviluppo sostenibile di cui tanto si parla.
C’è un patrimonio di terreni, di associazioni, di cooperative, di nuovi e vecchi imprenditori che in agricoltura possono dare e fare tanto. È anche questo un modo per ripensare allo sviluppo della città senza rimanere impigliati ancora nelle polemiche sulla vecchia industrializzazione, una parte della quale ha ormai fatto il suo tempo.
Insomma è maturo il tempo che anche a Brindisi l’agricoltura ritorni ad essere considerata in maniera diversa per farla diventare una componente forte dello sviluppo del territorio. Brindisi non è solo industria, porto, zona industriale. Il comune partecipa alla gestione di strumenti che hanno un impatto importante sul paesaggio e sulla natura agricola del territorio come il consorzio di Torre Guaceto o come il Gal alto Salento. Sarebbe interessante conoscere quale contributo danno alla città e quali proposte avanzino i suoi rappresentanti.
Una buona agricoltura per cibi sani, contro l’abbandono dei terreni, recuperando quelli incolti, per far crescere così, attraverso incentivi,associazionismo,formazione, una nuova passione e una imprenditorialità giovanile radicata nel territorio e del territorio.
L’agricoltura è un settore pieno di opportunità e può avere un elevato valore aggiunto a condizione che si sappia generare quel circolo virtuoso del sapere, fatto di tradizione,qualità,innovazione e capacità di racconto.
E Brindisi dai tempi dei messapi e dei romani, per la fertilità delle sue terre e per la bontà delle sue produzioni agricole, può raccontare tanto e fare ancora tanto.
Carmine Dipietrangelo
Soc. Agricola Tenute Lu Spada