L’uscita del nuovo romanzo di Aimee Bender (La notte delle farfalle, minimum fax, che promette viaggi ultradimensionali e l’abituale tocco di magico mistero che è sua cifra caratteristica) ha sollecitato la lettura de L’inconfondibile tristezza della torta al limone, libro che dalla sua prima edizione (ormai di dieci anni fa, sempre per minimum fax) di strada ne ha fatta molta e di lettori ne ha incrociati proprio tanti, trattandosi di un prezioso caso letterario. L’idea al centro del libro è semplice ed estremamente affascinante: la piccola Rose Edelstein scopre, alla vigilia del suo nono compleanno, mentre assaggia la torta al limone e cioccolato preparata amorevolmente dalla madre, che le riesce di sentire le emozioni provate dalla sua mamma mentre la cucinava. Nella torta di compleanno distingue, non senza una buona dose di terrore, che «la bontà degli ingredienti – la cioccolata sopraffina, i limoni freschissimi – sembrava una coltre sopra qualcosa di più grande e di più oscuro»; tra i sapori che le sono familiari si fanno spazio anche quello della piccolezza, «la sensazione del rattrappirsi, dell’inquietudine che intuitivamente sa essere collegati a sua madre». La madre non c’è nella torta, il dolce sa di vuoto, e ogni nuovo boccone lo conferma: «assenza, fame, caduta a spirale, vuoti». Rose si accorge da quel pomeriggio che la sua singolare facoltà non si limita al solo cibo preparato da sua madre, ma si allarga all’infinità di cose che la nutrono, il che non è per nulla divertente. Sono per lo più negative le emozioni che le giungono: noia, frustrazione, rancore, disperazione, menzogna. La soluzione sarà prediligere cibi prodotti in fabbrica e distribuiti dalle macchinette, biscotti e snack che nessuno aveva preparato e di cui poter percepire solo il distante ronzio ritmico della preparazione industriale. Attorno a Rose (dalla cucina di casa alla mensa scolastica alla rinomata panetteria dei cookies migliori) tutto la costringe ad entrare visceralmente in contatto con le ragioni intime delle vite delle persone ed è complicato, oltre che dannoso, assorbire porzioni abbondanti di altrui tristezza (torna in mente quello che mi raccontava un’amica, ovvero che in contesti comunitari religiosi è fatto consiglio di cantare mentre si cucinano le pietanze per distogliere la mente da emozioni e pensieri fuorvianti: affascinante!). Rose elabora personali strategie di sopravvivenza e se la cava benissimo, salvo rendersi conto che non è l’unica ad avere poteri particolari: c’è chi, a differenza sua, se ne serve per sfuggire al mondo e vagare chissà dove, mentre resta una riga tracciata con una biro sullo schienale di una sedia a ricordare come tornare a casa o una camelia lasciata sul parabrezza a segnare il luogo in cui trovare chi ci vuole bene.
Diana A. Politano