L’ANGOLO DEI LIBRI – “L’ultima provincia” di Luisa Adorno

Promemoria è il nome della nuova collana della casa editrice Sellerio: cinquant’anni di storia editoriale sono un tempo più che sufficiente perché di un catalogo se ne prenda a sondare la profondità e magari alcuni libri non più reperibili tornino ad emergere per «ricongiungerli ai propri lettori e appassionarne di nuovi», si scrive sul sito dell’editore. Da qui, il nome: «un aiuto, un suggerimento» a ritrovare storie e a comporre una biblioteca ideale per leggere il mondo. Questo mese sono dunque ritornati disponibili in libreria sei titoli (la raccolta Ferragosto in giallo con le firme di alcuni fra i più amati autori per Sellerio e poi Colin Dexter, Geoffrey Holiday Hall, Antonio Manzini, Alicia Giménez-Bartlett e Luisa Adorno) in una veste grafica nuova: accantonato l’elegante blu, le copertine sono interamente illuminate dall’illustrazione, il formato è ingrandito mentre il prezzo, con un’inversione di proporzionalità che è pura gioia per il lettore, è più contenuto. Tra i volumi di recente ripubblicazione si segnala L’ultima provincia di Luisa Adorno, uscito nei primi anni sessanta costringendo l’autrice Mila Curradi (venuta a mancare proprio qualche giorno fa, alla soglia dei cento anni) ad utilizzare uno pseudonimo. Vi si racconta, con ironia e intelligenza comica, del suocero – il Prefetto Adorno – e della sua famiglia, oggetto di osservazione durante gli anni di convivenza seguiti al matrimonio con Cosimo. Dalla natia Sicilia, il Prefetto, la moglie e il figlio vengono destinati in varie città d’Italia, al servizio del fascismo prima e della neonata Repubblica poi, senza che venga mai perduto un briciolo della propria ristrettezza culturale, dell’attaccamento ai valori del conservatorismo borghese, dell’opportunismo politico, della ligia aderenza alle consuetudini della vita familiare. Le scene di vita quotidiana, con – a fare da sfondo – l’Italia che viene fuori dalla seconda guerra mondiale, vengono ritratte e confidate a chi legge col tono di chi bonariamente prende in giro e rileva i limiti della comunicazione familiare, l’assurdità di rituali sempre uguali a sé stessi. Di tanto in tanto fa capolino l’amarezza per una prassi politica e governativa che tende a riproporre, anch’essa, schemi fissi e stantii: mentre finge di rinnovarsi al variare del contesto, in realtà si preoccupa solo della sua stessa sopravvivenza. L’incedere elegante della narrazione regala scene di esilarante comicità, una galleria di personaggi vividi e al limite dell’assurdo, ma anche paesaggi emotivi di incantevole bellezza in cui riappropriarsi del senso di ogni cosa – mentre il vento delle riforme comincia da lontano a soffiare e i concetti di servo e di padrone mostrano, almeno per un attimo, tutta la loro labile consistenza.

Diana A. Politano

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