Quella del penitenziario è una realtà difficile, inutile girarci intorno, e il contesto detentivo italiano ha negli anni visto esasperarsi numerose criticità: sovraffollamento, carenza di personale, inadeguatezza delle strutture carcerarie. Una società a parte, quella dell’universo penitenziario, quasi celata e soffocata rispetto al mondo esterno ad esso, con sue regole, suoi codici impliciti, confini ben precisi e ruoli che si delineano nettamente. L’esperimento che PhilipZimbardo, psicologo statunitense, condusse nel carcere di Stanford nel 1971 (da cui è stata tratta nel 2001 la celebre pellicola The Experiment di Oliver Hirschbiege) rappresenta una celebre e sconcertante applicazione nella psicologia sociale dell’assunto teorico su come la situazione possa orientare il comportamento nell’individuo, trasformarlo in conseguenza di essa, portandolo magari a mettere in atto comportamenti che mai avrebbero fatto parte della normale rosa delle sue azioni. Un’esperienza che rappresenta uno specchio disarmante sulla possibile degenerazione del comportamento umano, uno squarcio sull’abisso che è latente in molti individui, cui basterebbe essere posti in una determinata situazione per mutare la propria natura, rendendola maggiormente incline alla crudeltà, sospendendo il limite etico-morale. I fatti gravissimi di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), tra pestaggi, raid punitivi e torture, rappresentano il cupo riflesso e la prova di quanto accadde in quel contesto, poiché ripropongono le medesime condizioni necessarie allo scatenarsi di un agito violento, vessatorio, dell’abuso del potere di controllo e coercizione. Denotano il malessere, la fragilità e le distorsioni che possono scatenarsi nella società, ingabbiata nelle sue regole e ruoli, del carcere.
Un problema che interessa entrambi gli attori di questa realtà: i detenuti e la polizia penitenziaria. Qua le colpe, le responsabilità, sono sfumate all’interno di un sistema che porta al collasso sia delle “guardie” che dei detenuti. I dati di questi anni ci riportano un alto tasso di suicidi da ambo le parti, e quindi è inutile, semplicistico determinare un improprio confine manicheistico tra buoni e cattivi. Il contesto penitenziario italiano ha svelato il proprio volto in tutte le sue gravi problematiche, che necessitano di nuove risposte, corsi d’azione volti alla tutela sia di coloro che scontano la pena, sia delle forze dell’ordine deputate al controllo e mantenimento della sicurezza all’interno degli Istituti. Le – oramai arcinote – pessime condizioni detentive delle prigioni italiane, a partire dall’edilizia carceraria per migliorare la quale sono stati sperperati negli ultimi anni milioni di euro con unico risultato le innumerevoli opere incompiute ed almeno 40 istituti penitenziari in tutta Italia mai entrati a regime. L’inaccettabile condizione dei detenuti in Italia, costretti in spazi ridotti e senza programmi di riabilitazione, in conclamato aperto spregio dell’art 27 della Costituzione. – L’ avvenuta ennesima spettacolarizzazione della vicenda, per cui i video sulle violenze perpetrate sono stati fatti oggetto di sensazionalistica manipolazione mediatica, aggiungendo ulteriori gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona all’evidente vulnus alla legalità del sistema. I rapporti sul sistema penitenziario ci dicono che ogni anno più della metà delle morti in carcere è per suicidio, che fra i detenuti ci sono decine di atti di autolesionismo ogni giorno, e che nessun programma affidabile di rieducazione è istituzionalmente previsto, tanto che Il 39% dei detenuti rientra in carcere entro i successivi 10 anni. Le carceri sono diventate un “mondo a parte” dove i diritti non esistono per nessuno e dove l’obbligatoria funzione rieducativa della pena è completamente disattesa, onde le svariate condanne della CEDU all’Italia sulla condizione detentiva. Quanto accaduto pertanto reclama un’analisi molto più approfondita e funzionale di un mero approccio demagogico e strumentale, perché si sta trattando di diritti umani. E i diritti umani non sono negoziabili, il collasso del sistema penitenziario è lampante, e questi accadimenti confermano l’urgenza di un intervento che miri alla salvaguardia in un sol tempo dei detenuti e un supporto maggiore al delicato operato della polizia penitenziaria. a cura di Dott.ssa Alice Mignani – Assistente Sociale, Criminologa Forense e Pedagogista Giuridico a Roma e Avv. Angelo Ruberto – Avvocato Penalista in Bologna e Presidente di Rete Nazionale Forense