Liste di attesa: la sospensione dell’intramoenia tra chiarezze normative e dissensi interpretativi

Cenni sulla situazione normativa

Alla fine dello scorso anno abbiamo appreso che il Ministero della Salute si era da tempo mosso per fare  approvare il nuovo Piano Nazionale per il Governo della Liste di Attesa (PNGLA) diventato poi il 21.2.2019 oggetto dell’Intesa con le Regioni che, fra le appropriate misure prescritte, includeva quella così riportata al punto 16: “in caso di superamento del rapporto tra attività in libera professione e in istituzionale sulle prestazioni erogate e/o di sforamento dei tempi di attesa massimi già individuati dalla Regione si attua il blocco della attività libero-professionale, fatta salva l’esecuzione delle prestazioni già prenotate”.

Il 14 marzo scorso Consiglio Regionale di Puglia ha approvato la legge n. 13 avente ad oggetto “Misure per la riduzione delle liste d’attesa in sanità – Primi provvedimenti” adottando il PN ma sorvolando sul punto riguardante le modalità di attuazione della sospensione dell’intramoenia.

Il 18 aprile scorso la Giunta Regionale di Puglia ha approvato il Piano Regionale di Governo delle Liste di Attesa (PRGLA) con il quale si è recepito il Piano Nazionale sulla stessa materia approvato dalla Conferenza Stato Regioni il 21 febbraio 2019, frutto quindi di un accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni. Nel Piano Regionale è stata recepita anche la norma per la quale il Consiglio Regionale aveva condotto al suo interno un “braccio di ferro” durato 14 mesi sulla legge Amati che prevedeva la sospensione della libera professione intramoenia dei medici in caso di tempi di attesa disallineati di più di 5 giorni rispetto alle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario.

Il PN come quello PR contiene la previsione della sospensione dell’attività intramoenia e la disciplina nel modo così precisato: “Qualora – a seguito del monitoraggio dei tempi d’attesa di cui innanzi – i volumi delle prestazioni erogate in regime istituzionale risultino inferiori a quelle erogate in regime di ALPI, ovvero si riscontri uno sforamento dei tempi di attesa massimi individuati dalla Regione, il Direttore generale procede alla sospensione dell’erogazione delle prestazioni in libera professione,  fatta salva l’esecuzione delle prestazioni già prenotate.”

 

Una legge regionale ideata un anno e mezzo addietro ma ambigua sul punto più qualificante (quello sul livellamento dei tempi di attesa dei due tipi di prestazioni). Una legge che maschera la scelta di non rimuovere nei fatti lo squilibrio fra le due forme di attività sanitaria ricorrendo all’acquisto  di prestazioni fornite da privati con la conseguenza che a pagare i costi di questo artificioso marchingegno  saranno i direttori generali passibili di licenziamento per i ritardi, i pazienti che dovranno corrispondere l’importo in caso di mancata disdetta della progettata visita medica ed i cittadini contribuenti sui quali si rifletterà il peso degli esborsi in favore dei privati erogatori delle prestazioni integranti.

 

E forse proprio per questo la legge regionale non ha convinto il Governo al quale il MEF ha chiesto di impugnare l’articolo che prevede di aggiungere ulteriori fondi in favore dei medici prelevando dal fondo perequativo salvo ulteriori osservazioni su aspetti sanitari da parte del Ministero della Salute

La sorprendente “diffida” del sindacato  ANAAO-ASSOMED

Con una nota datata 9 maggio 2019, inviata ai Presidenti delle Regioni, agli Assessori alla Sanità  e ai Direttori Generali di Aziende ed Enti del SSN,  avente ad oggetto il blocco previsto dal Piano Nazionale  di governo delle liste di attesa per il triennio 2019-2021 (PNGLA) nonché il blocco dell’attività libero-professionale intramuraria ritenuto illegittimo, il Segretario Nazionale  ANAAO – ASSOMED dott. Carlo Palermo,  fatte alcune premesse riguardanti la disciplina delle liste di attesa, afferma che il citato piano triennale PNGLA, nel dettare le linee di intervento che le singole Regioni devono rispettare nell’adozione dei propri piani regionali,  ha disposto l’attuazione del blocco dell’ attività libero-professionale intramuraria “in caso di superamento del rapporto tra attività di libera professione e istituzionale sulle prestazioni erogate  e/o di sforamento dei tempi di attesa massimi individuati dalle disposizioni regionali”. Ed ha aggiunto che “nel recepire la predetta intesa diverse regioni hanno introdotto il potere per le Aziende Sanitarie di sospendere unilateralmente l’esercizio della libera professione intramuraria dei Dirigenti Sanitari nei casi in cui si verifichi uno squilibrio fra le liste di attesa per l’attività istituzionale e quelle per l’ALPI  e/o il superamento dei tempi di attesa massimi stabiliti nei piani Regionali di Governo delle liste di attesa in assenza di negoziazione fra le parti”. Il dott. Palermo ha quindi sostenuto che “tali misure sono da ritenersi illegittime in quanto limitano il diritto soggettivo del dirigente medico all’esercizio della libera professione intramuraria al di fuori dei casi e delle condizioni stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva introducendo arbitrariamente  una fattispecie sanzionatoria quale la sospensione dell’ALPI, non correlata ad una legittima condotta colposa  del Dirigente ma condizionata da possibili fattori esterni ed etero imposti  al rapporto di lavoro”.

E ciò perché, secondo il segretario della citata Associazione, “le disposizioni inserite in un atto di intesa Stato-Regioni costituiscono norma di rango secondario rispetto alla norma primaria di cui esse sono attuazione, per cui le stesse non possono limitare o ledere diritti soggettivi riconosciuti dalla legge e quindi, nel caso di specie, escludere il diritto all’esercizio della LPI in contrasto con la disciplina dettata dalla fonte superiore”. Il dott. Palermo ha diffidato quindi i destinatari nella sua nota dal “sospendere l’attività libero professionale intramuraria dei Dirigenti medici e sanitari al di fuori dei casi indicati dalla legge nazionale e dalla contrattazione collettiva, con l’avviso che in difetto sarà dato impulso alle opportune iniziative legali a tutela dei diritti dei propri iscritti”.

 

Una tesi infondata

Sorprende invero la “diffida” della Associazione ANAAO-ASSOMED per la sua perentoria intimazione nei confronti dei destinatari e per la sicurezza del tono che la caratterizza.  Premesso che l’oggetto della questione, vale a dire il contenimento dei tempi scandalosamente lunghi delle liste di attesa, richiede più sereni e meno schierati approcci ci limitiamo a rilevare l’inconsistenza delle argomentazioni messe a fondamento della “diffida”. Va allora ricordato che l’art. 117 della Costituzione attribuisce  alla competenza legislativa  esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali  che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale” e menziona poi “la tutela della salute”  fra le materie di competenza legislativa concorrente fra Stato e Regioni,  riservando allo Stato la determinazione  dei “principi fondamentali” con lo strumento delle c.d. “leggi quadro” .  Lo Stato deve perciò adoperarsi perché in materia di liste di attesa i livelli essenziali di assistenza (LEA) vengano assicurati con una prescrizione normativa intesa ad impedire che risultino privilegiate le prestazioni intramurarie a pagamento su quelle istituzionali spettanti in forza del fondamentale (come lo definisce la Costituzione) diritto alla salute.

E proprio questo ha fatto lo Stato con l’art. 15  quinquies  comma 3 del D.L.gs n. 502 /92 il quale, come riconosce la predetta associazione, afferma che l’attività istituzionale deve considerarsi prevalente rispetto a quella libero-professionale precisando che devono essere individuate penalizzazioni “consistenti anche nella sospensione del diritto alla attività stessa,  in caso di violazione delle disposizioni di cui al presente comma o in quelle contrattuali. Lo Stato medesimo con una successiva legge, quella del 3 agosto 2007 n. 120 (“Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria ed altre norme in materia sanitaria”), ha formulato un indubbio “principio fondamentale” in materia di legislazione sanitaria attribuendo alla sua legislazione esclusiva la responsabilità di prescrivere “il progressivo allineamento dei tempi di prestazione delle erogazioni nell’ambito dell’attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest’ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza dell’organizzazione dei servizi resi nell’ambito dell’attività istituzionale”.

E’ quindi di tutta evidenza che l’allineamento dei tempi  di prescrizioni delle erogazioni delle prestazioni in questione è sancito da una norma primaria  costituita  dal combinato disposto delle due leggi (il decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 e la legge 3 agosto 2007 n. 120) mentre il Piano Nazionale di Governo delle liste di attesa, frutto dell’intesa Stato-Regioni, contiene le necessarie specificazioni attuative di quanto disposto dalle citate leggi conferendo peraltro a tale scelta  un grande prestigio socio-politico in forza del corale consenso di tutte le realtà regionali.  Nessuno vuole svalutare il ruolo che in materia ha svolto e svolge il CCNL ma è di tutta evidenza che tale contratto indica le procedure disciplinari previste per certi addebiti ma non attribuisce ad esse alcuna funzione che paralizzi la sospensione dell’esercizio dell’ALPI quando ne ricorrano le condizioni di legge. Nessuna quindi “condicio sine qua non” prevede invero il contratto collettivo che sarebbe peraltro risultata assurda proprio in forza di quella gerarchia delle fonti normative che ad altro riguardo l’Associazione dei Medici impropriamente invoca.

Vale la pena inoltre precisare che il diritto soggettivo all’esercizio delle attività libero-professionale dei medici può incontrare, come tutti i diritti soggettivi, le limitazioni più o meno estese previste dall’ordinamento giuridico per la salvaguardia di altri diritti anche essi degni di adeguata tutela.  Si deve infine ricordare che nella condizione sociale di ogni ordinamento moderno si punta a dare maggior rilievo a tali limiti per scongiurare ogni deprecabile arbitrio. Limiti di cui si è fatta persino menzione nella definizione legislativa del più vasto dei diritti soggettivi patrimoniali che è la proprietà (vedasi l’art. 832 del Codice Civile).  Il fatto è che il diritto soggettivo, come mera espressione di libertà, nel codice civile e nella corrente attività legislativa deve considerarsi attenuato, nello spirito della Costituzione, da un doveroso richiamo alla solidarietà.

Misure necessarie per impedire la vanificazione della riforma                                                          

Tornando al merito della questione in esame resta il fatto che le norme da tempo esistenti non hanno trovato alcuna attuazione dal momento che il disallineamento tra le due forme di erogazione per molte prestazioni continua a rimanere molto ampio e in tutte le parti d’Italia. Per quanto attiene alla Puglia proprio in questi giorni il consigliere regionale Fabiano Amati ha diffuso i dati sulle liste di attesa relativi al mese di aprile rilevando che ancora molta parte delle prestazioni con richiesta di essere evasa entro 10 o 30 giorni non viene erogata nei tempi prescritti. Ci auguriamo che le previste operazioni di monitoraggio nazionale si dimostrino strumento efficace per scongiurare  la vanificazione di una utile lotta alla lunghezza delle liste di attesa. E sì perché proprio sul piano attuativo si giocherà nei prossimi mesi la portata effettivamente innovativa  delle puntualizzazioni mensionate recentemente nel nuovo piano nazionale delle liste di attesa.  Temiamo che la situazione pugliese sia emblematica di più diffuse situazioni caratterizzate da ambiguità e contraddizioni che rischiano di paralizzare i diritti dei cittadini più bisognosi. E a tale riguardo non sembra vano ricordare il contenuto dell’art. 120 della Costituzione per il quale “il Governo può sostituirsi ad organi delle Regioni, delle Città Metropolitane, delle Province e dei Comuni” nei casi da tale norma indicati tra i quali quello così formulato: ”quando lo richieda la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”. E la stessa disposizione precisa poi che la legge deve definire le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi “siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di collaborazione”. Non vi è dubbio allora che il Governo possa sostituirsi agli organi della Regione non solo in ordine ad atti amministrativi ma anche ad atti di natura legislativa. Una interpretazione questa ampiamente ritenuta corretta anche alla luce della considerazione per la quale, come è stato rilevato in dottrina, “è proprio l’accresciuta autonomia delle Regioni che richiede, a mo’ di contrappeso, la presenza di un potere sostitutivo forte se è vero che lo Stato federale e, a fortiori, lo Stato Regionale non rappresentano altro che sottotipi dello Stato unitario”.

                                               FORUM AMBIENTE, SALUTE E SVILUPPO

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