L’occhio di Vladimir Nabokov

«Avevo da tempo sospettato che il mondo fosse un’assurdità: allora mi fu cosa ovvia. Mi sentii d’un tratto incredibilmente libero: la libertà stessa era indice di tale assurdità»: in un pomeriggio d’autunno berlinese degli anni ’20 è questo il pensiero che accompagna la ferma risoluzione di un giovane emigrato russo di porre fine alla propria esistenza, ed è esattamente a partire da esso che muove la singolare narrazione de L’occhio di Vladimir Nabokov, edito da Adelphi. Il racconto, composto dapprima in lingua russa nel 1930 e poi in lingua inglese nel 1965, diventa il terreno su cui sperimentare il tema dello specchio, dello sdoppiamento e del riflesso, così ricorrente nell’intera opera (e nella stessa vita) dell’autore. Quello che vi si formula è l’invito al lettore a percorrere gli scivolosi schemi dell’indagine poliziesca e della soluzione di un enigma: chi è Smurov, il raffinato e ben fatto giovane dalle mani affusolate e dal nobile pudore che sembra aver preso il posto del nostro protagonista, ovvero di colui che alla vita ha preferito l’inesistenza? Ci saremo anche noi a pedinare Smurov, ne seguiremo le brillanti conversazioni nei salotti borghesi degli esuli russi, ne condivideremo gli slanci amorosi e raccoglieremo – attraverso le parole e gli indizi di chi gli è vicino – i frammenti della sua personalità, cercando di ricomporre quei cocci della sua esistenza utili a rispondere al nostro, di interrogativo. Probabilmente non vi è altra risposta se non che noi stessi esistiamo solo attraverso i mille specchi che ci riflettono e «l’unica felicità a questo mondo sta nell’osservare, spiare, sorvegliare, esaminare se stessi e gli altri, nel non essere che un grande occhio fisso. (…) La felicità è questa, lo giuro. Che importa se sono un po’ volgaruccio, un po’ farabutto, se nessuno apprezza tutte le mie notevoli doti. Sono felice di potermi contemplare, poiché ciascun uomo è avvincente, sì, proprio avvincente!». E allora, trattandosi dell’ultima nota dell’anno, per il nuovo che verrà l’augurio è quello di poter osservare la migliore versione di sé stessi, di poterci lavorare su ogni giorno, e di non aver timore alcuno di mostrarla.

Diana A. Politano   

 

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