La crisi in atto a Brindisi, in Puglia e nel Mezzogiorno d’Italia non troverà soluzione se passa l’Autonomia differenziata. Quest’ultima prevede che quanto si paga di tasse al Nord, debba rimanere tutto in quelle regioni, lasciando una piccolissima parte allo Stato. La Cgil è fortemente preoccupata dall’idea di questo Governo di procedere all’applicazione di questo principio voluto fondamentalmente da cinque regioni del Nord perché inevitabilmente questo produrrà una diminuzione di servizi pubblici e occasioni di economia, sviluppo e lavoro al Sud scatenando conseguenze nefaste a livello sociale. E metterebbe a rischio l’arrivo anche quei fondi previsti dal Pnrr.
Sebbene l’Autonomia differenziata sia già storicamente nei fatti applicata – dal momento che la maggioranza dei fondi statali sono sempre stati largamente destinati a migliorare il Nord creando benessere, posti di lavoro, migliore istruzione, salute pubblica, infrastrutture e via dicendo – certificarla per legge sancirebbe definitivamente l’impossibilità di colmare il divario tra aree del Paese condannando l’Italia ad una doppia velocità e determinando per il Sud l’impossibilità di agganciare il treno dello Sviluppo offerto ad esempio dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). L’Europa infatti ha stanziato ben 209 miliardi per l’Italia in base a 3 criteri, tra cui quello di annullare il divario sociale ed economico, per investire al Sud una cifra considerevole, ammontante a circa il 67-70% dell’intero pacchetto Next Generation EU o Pnrr Italia, invece è stato deciso che al Sud vadano destinate solo il 40% delle risorse.
Ad alcune regioni del Nord non interessa se il mezzogiorno d’Italia voglia l’Autonomia differenziata. L’obiettivo è che i loro soldi che pagano rimangano nelle loro regioni, con attribuzione di tutte le competenze e autorità per poterli spendere come pare e piace a loro. Ma a questa compattezza fa da contraltare l’assoluta mancanza di coesione al Sud. Così come è evidente la mancanza di un piano industriale che veda realmente interessare il mezzogiorno.
La mancata realizzazione dell’investimento Intel in Puglia, o a Brindisi dove si sarebbe sperato arrivasse a mitigare l’impatto della crisi ultra decennale o gli effetti pesanti della decarbonizzazione, è uno dei tanti possibili esempi di mancate occasioni di sviluppo per il Sud. Si è trattato di un intervento di politica industriale nazionale con un investimento pubblico di circa 3 miliardi di euro destinati ad una multinazionale americana. A Brindisi cosa mancava in termini di infrastrutture? Nulla: un’area industriale attrezzata, collegamenti con aeroporto, porto e ferrovia, condizioni invidiabili ovunque. Questo nuovo Governo dovrebbe immediatamente dire se nelle sue intenzioni c’è un piano per lo sviluppo del Sud ovvero una incisiva programmazione di investimenti.
Dall’energia e l’industria alla sanità la tendenza non cambia. Le già pesanti criticità sul fronte sanitario, determinate da una insoddisfacente ripartizione del fondo sanitario nazionale che penalizza il sud, rischiano di aggravarsi ancora di più alla luce dell’approvazione del Nadef (la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza) presentato dal governo uscente a fine settembre: tagli previsti per il Sistema Sanitario Nazionale (nel 2023 oltre 2 miliardi, nel 2024 altri 3 miliardi), sono da leggere proprio come un attacco frontale alla Sanità pubblica.
Come pagheranno sulla loro pelle i pugliesi e i brindisini gli effetti di questi tagli? E a Brindisi dove la carenza di medici nei pronto soccorso e nei reparti rischia di portare all’interruzione di pubblico servizio? Dove si registra il rapporto più basso tra posti letto disponibili e popolazione dell’intera regione? Dove il Piano di riordino ospedaliero non è mai stato attuato fino in fondo? Dove andrebbe potenziata la medicina del territorio? Dove c’è necessità di altre strutture? Dove il problema delle liste d’attesa è ormai cronico e determina una mobilità inter ed extraregionale (per chi può permetterselo) per soddisfare il bisogno di salute?
E quanto alla scuola, alla formazione, all’Università e la ricerca? La cosa non è per nulla da sottovalutare perché anche su questo fronte i risvolti sarebbero drammatici.
Insomma i mancati investimenti pubblici e statali rischiano di creare altri danni gravissimi ed irreversibili per il Sud come il suo spopolamento. Non solo per via della denatalità dovuta prevalentemente a motivi economici, ma anche per l’emigrazione che rischia di desertificare intere aree del Mezzogiorno. L’Istat afferma che il Sud Italia nel giro di 10-15 anni subirà una perdita enorme di popolazione, accentuando il trend già molto pesante degli ultimi vent’anni di circa 2 milioni di persone in meno, in quanto anche il tasso di natalità ormai non supera più da tempo il tasso di mortalità.
A pagare un prezzo altissimo saranno ancora una volta i ceti bassi e medi, i pensionati, le donne, ma soprattutto i giovani. E saranno i territori del Mezzogiorno come Brindisi. Noi della Cgil di Brindisi non ci stiamo a questo disegno e lanciamo un forte appello alla politica a fermare questa pericolosa deriva: il rilancio dell’economia del mezzogiorno è in contrapposizione ad ogni forma di autonomia differenziata.
Antonio Macchia
Segretario Generale
Cgil Brindisi