Macchia (Cgil): “Trent’anni fa lo sbarco di circa 27mila Albanesi. Brindisi scrisse una delle più belle pagine di Storia del 20esimo secolo”

Ci sono pagine di Storia da mandare a memoria per evitare di ripetere gli stessi orrori e pagine di Storia che sono lì a ricordaci che, tutti insieme, siamo capaci di grandi imprese. La Memoria è una cosa importante, in ogni caso.

Il 7 marzo del 1991, a Brindisi si scrisse una delle più belle pagine di Storia del 20esimo secolo, resa ancor più speciale dal fatto che noi brindisini siamo stati, per dirla in gergo cinematografico, “attori non protagonisti”: in poche ore la nostra città fu invasa pacificamente da circa 27 mila albanesi, giunti sulle nostre coste a bordo di imbarcazioni di fortuna a cercare fortuna, immaginando di trovare il paese del Bengodi che veniva trasmesso dalle tv il cui segnale arrivava fino a Valona, Tirana e Durazzo.

I nostri fratelli albanesi non trovarono le paillettes e le luci colorate che si aspettavano ma furono sopraffatti dalla solidarietà che spontaneamente venne a crearsi nel popolo che si riconobbe in quell’onda umana che in poche ore invase le nostre città, Brindisi in particolare.

Non diciamo nulla di nuovo se riaffermiamo il primato che Brindisi si conquistò in quella situazione: i brindisini non ebbero neanche il tempo di chiedersi cosa stesse accadendo che ovunque spuntavano come funghi mense improvvisate negli scantinati dei condomini e nei garage degli appartamenti, ricoveri per donne e bambini, avamposti solidali di ogni tipo.

Da questa esperienza, forte oltre ogni immaginazione per tutti i coinvolti, abbiamo tratto preziosi insegnamenti da mettere in atto ogni giorno e da tramandare alle future generazioni per sperare in un futuro migliore del presente che viviamo. Ci troviamo, purtroppo, in quella brutta situazione in cui il passato è guardato con nostalgia e un pizzico di rabbia mista a invidia, il futuro viene visto cupo e incerto, per usare un eufemismo, e il presente, che rappresenta l’unica certezza concreta cui aggrapparsi, è più buio della pece.

Trenta anni fa, invece, la città in ogni sua articolazione, ma comunque partendo sempre dal basso, fu protagonista di uno degli atti di bellezza più grandi che si ricordino a memoria d’uomo. La Cgil, ovviamente, c’era e diede il suo contributo a rendere meno traumatico quello che stava capitando ai 25mila migranti in fuga: la fine del mondo per come lo avevano conosciuto.

Come organizzazione sindacale che porta nel suo Dna i valori della solidarietà, del mutuo soccorso e dell’accoglienza, venne naturale mettere in campo un dispositivo articolato che andava dal soddisfare i bisogni primari dei singoli fino all’organizzazione di un sistema stabile di asilo, necessario a governare una fase altamente instabile che poteva prendere le strade più diverse ma che, fortunatamente, grazie al contribuito di tutti, ha imboccato quella più felice, quella che ci permette, a 30 anni di distanza, di raccontarci a testa alta, orgogliosi di noi stessi.

Furono le Parti Sociali a chiedere al prefetto Antonio Barrei di utilizzare le scuole per l’accoglienza e, infatti, 36 istituti scolastici della città furono rapidamente convertiti in dormitori; si misero a punto migliaia di comunicati informativi, distribuiti nei centri di aggregazione dei migranti, sulla sicurezza, per mettere in guardia uomini, donne e soprattutto i bambini sul pericolo rappresentato dall’alta velocità di auto e moto alla quale non erano abituati e per la quale, solo a Brindisi e nei dintorni, persero la vita in poche settimane circa 200 persone, morte investite; le nostre Camere del Lavoro redassero migliaia di Libretti del Lavoro e di codici fiscali per favorire l’ingresso legale nel mondo produttivo degli albanesi a forte rischio di sfruttamento da parte dei criminali di casa nostra; la Cgil organizzò corsi gratuiti di alfabetizzazione per minori e adulti per facilitare l’integrazione sociale a chi non aveva scelto di venire da noi ma che era stato costretto a imbarcarsi su carrette pericolose e pericolanti pur di sperare in un futuro migliore.

Questo è quello che siamo, non solo come Cgil ma come popolo. Purtroppo tutto ciò contrasta pesantemente con l’attualità del nostro Paese che è colpito da un’onda di risacca di razzismo e xenofobia: la politica dei “porti chiusi”, tanto cara a qualche leader ma purtroppo più diffusa di quanto non sia lecito pensare. Siamo una nazione complessa e proprio in virtù di questa complessità siamo capaci di incredibili slanci, sia verso l’alto che verso il basso: per ritornare a respirare aria buona in quota, abbiamo bisogno di riscoprire il piacere del Bene, quello assoluto e non opinabile. Solo riscoprendo l’esempio di chi ha fatto la Storia riusciremo a scrollarci di dosso quelle incrostazioni di un passato più remoto, oltre che più fetido e più putrido, che ci portiamo ancora dietro.

La Cgil, come sempre, cerca con tutta se stessa di dare l’esempio, provando a mutuare le gesta di chi è venuto prima di noi, adeguandole alle esigenze dell’attualità: negli ultimi 30 anni non abbiamo avuto nessun altro evento migratorio della portata di quello del 7 marzo del ’91 ma siamo protagonisti di migliaia di altri esodi, fisici, sociali, politici, altrettanto laceranti e devastanti. Fare propri gli insegnamenti donatici inconsapevolmente dai brindisini di 30 anni fa è il modo migliore per onorare la Memoria e la Storia.

Si può sempre fare di più e fare meglio ma, per quel che possiamo, noi lo facciamo, a modo nostro. Uno dei tanti albanesi sbarcati 30 anni fa a Brindisi, il dirigente sindacale Nexhip Hyseni, fu assunto dalla Cgil e oggi rappresenta un punto di riferimento importante del patronato Inca Cgil: tra l’altro, gestisce un ufficio Immigrati importantissimo e molto frequentato, in grado di intercettare le necessità degli stessi migranti e di prevenire le loro richieste.

L’integrazione, quella con la I maiuscola e non quelle brutte copie che i governi di solito propongono e propinano, è un processo lungo e faticoso e si basa sulla conoscenza reciproca, sull’ascolto e sull’empatia.

Quello che accade a Brindisi 30 anni fa, in questo senso, rappresenta la solida base sulla quale costruire una casa comune nella quale crescere, contaminarsi e vivere insieme costruendo un futuro migliore.

Il Segretario Generale

Antonio Macchia  

 

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