“Non è vero ma ci credo”, al Verdi un classico con Enzo Decaro

Prende spunto dalla celebre commedia di Peppino De Filippo che quest’anno compie ottanta anni e si ispira a un tema più che mai attuale: la diffusione delle false credenze, argomenti spacciati per verità che nel teatro dei De Filippo sono intrisi di superstizione. Enzo Decaro, tra gli esponenti della nuova comicità napoletana, porta in scena al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi il capolavoro della commedia italiana “Non è vero ma ci credo” giovedì 17 febbraio, alle ore 20.30. L’appuntamento recupera lo spettacolo della stagione 2019-20 rinviato a causa dell’emergenza sanitaria: restano validi ticket e abbonamenti acquistati per la prima programmazione.

Biglietti disponibili online su https://bit.ly/3GvcnML e in botteghino secondo le giornate e gli orari di apertura tradizionali, ore 11-13 e 16.30-18.30. Il giorno dello spettacolo, ore 11-13 e 19-20.30.  Ingresso consentito solo con Green Pass Rafforzato e utilizzo obbligatorio della mascherina FFP2.

«Quella che andremo a raccontare è una tragedia tutta da ridere, popolata da una serie di caratteri dai nomi improbabili e che sono in qualche modo versioni moderne delle maschere della commedia dell’arte. Il protagonista di questa storia somiglia tanto ad alcuni personaggi di Molière che De Filippo amava molto», così racconta il regista Leo Muscato. La vicenda ruota intorno al commendatore Gervasio Savastano, imprenditore, un burbero benefico, ossessionato dal guadagno ma in costante tensione col mondo che lo circonda in quanto convinto che la iella esista e condizioni i destini dell’umanità. La sua fissazione è così grande da indurlo a licenziare, perché ritenuto un menagramo, l’impiegato Belisario Malvurio per assumere al suo posto, con uno stipendio da capogiro, il giovane Alberto Sammaria esclusivamente perché gobbo. L’innamoramento di Sammaria per la figlia del commendatore porterà un certo scompiglio ma, pur di non perdere il suo “portafortuna”, l’imprenditore acconsentirà alle nozze. Al momento del matrimonio, però, l’uomo sarà colto dai rimorsi: se i futuri nipoti nascessero con delle deformità lui ne sarebbe responsabile! Uno svelamento finale riporterà la pace sulla scena. Gervasio avrà compreso che la iella non esiste o non avrà del tutto rimosso le radici della superstizione?

Alla fine del 1944, prima che quel leggendario sodalizio artistico che era la “Compagnia Teatro Umoristico De Filippo” si sciogliesse, ponendo definitivamente fine alla collaborazione artistica dei tre fratelli, Peppino De Filippo scrisse la commedia “Non è vero ma ci credo” che venne inserita tra le “novità” della stagione 1942-43. Si trattava di un pezzo brillante ambientato nella società borghese degli anni Trenta che faceva ridere grazie alle strane manie del protagonista “tipizzato” come un personaggio della commedia dell’arte o una macchietta napoletana. La commedia andò per la prima volta in scena il 9 ottobre del 1942 con il titolo “Gobba a ponente” mutato, dopo breve tempo, in quello attuale. Su questa modifica Luigi De Filippo, figlio di Peppino, in una intervista su “la Repubblica” del 29 dicembre 2012, riportava un aneddoto: «Inizialmente la commedia si chiamava “Gobba a ponente” e con questo titolo debuttò nel 1942, al Politeama Margherita di Genova. Eravamo in piena guerra e, a cinque minuti esatti dal levarsi del sipario, squillò la sirena dei bombardamenti in arrivo, e così tutti fuggirono verso il ricovero. La sera seguente avvenne la stessa cosa: risultato, saltò nuovamente la prima dello spettacolo. A mio padre venne un sospetto: vuoi vedere che è il titolo “gobbesco” a portar male? Fu allora che lo cambiò in quello attuale. Il terzo giorno, la commedia andò regolarmente in scena e fu un successo».

Il regista Leo Muscato, che ha mosso i suoi primi passi nel mondo del teatro nella compagnia di Luigi De Filippo, ne riprende l’eredità artistica e ripropone la commedia “collocandola” in una Napoli sul finire degli anni Ottanta. Una Partenope concreta ma assurda – vincente ma povera, intrisa di passione per le gesta di Maradona e le sceneggiate di Mario Merola -, musicalmente succube della disco music ma viva nelle sonorità di Pino DanieleMuscato nella sua visione del testo, pur lasciando invariati i contenuti originali, lo arricchisce con un finale “filosofico” per rendere più credibile il ravvedimento del protagonista e porre l’attenzione sull’universale “valore” del diritto alla felicità.

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