Avrebbe avuto cento anni oggi, Jerome David Salinger, e questa rubrica non poteva non prevedere uno spazio dedicato ad uno degli anniversari più significativi. Certo è che Salinger – seppure sin dal 1965 (a soli quarantasei anni) si sia ritirato dalla vita pubblica (continuando, sì, a scrivere, ma non a pubblicare) – non cessa di rappresentare un irresistibile campo magnetico per la letteratura contemporanea, un luogo nel quale la scrittura disegna mondi e umanità necessariamente complessi. Se ne Il giovane Holden obiettivo critico della leggendaria narrazione sono il conformismo e i codici di comportamento della borghesia newyorkese, bersaglio della ribellione dell’adolescente irrequieto Holden Caulfield, Nove racconti (Einaudi) raccoglie invece nove frammenti di vite. Apparentemente distanti le une dalle altre, sono storie che fissano l’istante preciso in cui nasce una gioia delicata, un rimpianto, lo smarrimento, la placida convinzione di non poter andare oltre, l’ironia. Si procede attraverso dialoghi ritmati da una speciale leggerezza e da un tratto che accomuna molti dei protagonisti: l’essere giovani, talvolta addirittura bambini, capaci ancora di evitare le rigide posture degli adulti alle prese con il mondo. E ancora, il rimandare – direttamente o no – alla famiglia Glass, baricentro di tutti i romanzi di Salinger: nucleo reso vivo e trasparente, genealogia di affetti e mitologie, microcosmo in cui potervi ritrovare qualche pezzetto pure di noi. Non sarà un caso che le edizioni italiane delle opere di Salinger, per volere dello stesso autore, abbiano copertina interamente bianca – solo titolo e nome dell’autore; niente illustrazioni, fotografie o testi: che ognuno possa riempire quello spazio libero di sé stesso.
Diana A. Politano