Tutti i quadri di Edward Hopper sembrano fermare il tempo, chiudendolo in un istante definitivo, puntuale e tragico: le scene, perlopiù urbane o di borghesi interni americani, sono pervase da un profondo senso di solitudine, alienazione e sopraffazione, capaci di sprigionare un magnetismo irresistibile, costringendo lo sguardo dell’osservatore a fissare l’immagine, a riconoscersi empaticamente nel momento cruciale cui dà forma. Il libro Ombre (Einaudi) si propone di andare oltre la figurazione e, attraverso la parola di tredici scrittori (Stephen King, Joyce C. Oates, Michael Connelly e Robert O. Butler tra gli altri), di dare voce ad alcuni tra i più noti e significativi lavori del grande pittore statunitense.
E avranno così un nome le due figure ritratte in Stanza a New York: sono gli Enderby, e lo spazio sinistro e placido che occupano viene familiarmente definito “la sala della musica”; mentre Le undici di mattina diventeranno l’abisso temporale nel quale potrà sprofondare la protagonista del racconto La donna alla finestra, così drammaticamente intrappolata in una relazione extra-coniugale e mossa da fatali propositi di vendetta. E, ancora, ogni lettore potrà finalmente varcare la soglia di «Phillies», prendere posto su uno degli sgabelli lungo il lucido bancone del diner e interrogare, con l’acume e il rigore de I nottambuli, la notte e le sue verità.
Diana A. Politano