“Purity” di Jonathan Franzen

Jonathan Franzen: Great American Novelist. Così titolava quasi dieci anni fa la copertina del Time alla vigilia dell’uscita di Libertà, consolidando l’idea che Franzen fosse l’autore americano che, più di altri, avesse saputo farsi cantore caustico e generoso dell’America di oggi. Se ne Le correzioni ci introduceva alle insidiose dinamiche familiari dei Lambert con le caleidoscopiche coloriture dei sentimenti in gioco e in Libertà scandagliava le vite dei Berglund (gli irreprensibili vicini di casa, quelli che tutti si augurerebbero, sprofondati in un presente di depressione e di riprovazione sociale), in Purity (edito per la prima volta in Italia nel 2016 da Einaudi) l’orizzonte si è fatto più largo: il recinto narrativo formato dai legami parentali è scomparso e la trama vive di un respiro più ampio, che attraversa gli ultimi cinquant’anni di storia e si fa strada tra i continenti.

California, Colorado, Bolivia, Germania Orientale fanno infatti da sfondo ad una narrazione complessa in cui si allacciano i destini di molte persone, tutte colte nel tentativo caparbio di inseguire qualcosa: chi l’ignota figura paterna, chi il sogno dell’invisibilità (e del suo contrario), chi la distruzione dell’ideologia, chi il simulacro di un’informazione resa nelle forme della purezza, chi l’amore salvifico. Una galleria di personaggi sdoppiati, bifronti, custodi di segreti destinati ad avere poche speranze di rimanere tali: Purity è un romanzo che si incardina attorno ai temi della comunicazione, della rete in quanto spazio parallelo e delle derive autoritaristiche che l’incontrollato flusso di informazioni rende più che consistenti. Franzen ha scritto un’opera che parla del potere («I segreti erano potere. I soldi erano potere. Essere necessari a qualcuno era potere. Potere, potere, potere: com’era possibile che il mondo girasse intorno alla lotta per una cosa che creava solitudine e angoscia in chi la possedeva?»): che si manifesti attraverso il terrore irradiato dalle grigie stanze di un archivio segreto o nelle estreme storture di una relazione amorosa deleteria, l’unica possibilità è convincersi di poter fare meglio di chi ci ha «lasciato in eredità un mondo rovinato». E magari riuscire a avvertire il nome proprio, Purity, senza più vergognarsene.

Diana A. Politano

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