Cos’è “quella cosa intorno al collo” che pare soffocare Akunna e le altre protagoniste dei racconti di Chimamanda Ngozi Adichie, editi in Italia da Einaudi? L’autrice ce lo descrive nella raccolta che proprio dalla perifrasi posta ad indicare quel senso di soffocamento, di smarrimento e di solitudine trae il nome, e lo fa rendendoci partecipi delle esistenze di donne nigeriane, divise tra le tortuose radici che le legano al paese di origine (saldamente affondate nella povertà, nel disagio e nella corruzione) e le promesse tradite dell’emigrazione negli Stati Uniti, lì dove nessun sogno di ricchezza si compie e il sentimento di non appartenenza è tale da togliere il respiro.
Sono vite tutte in salita quelle che l’autrice ritrae, caricate dal peso dei pregiudizi altrui, dall’arroganza di un paese che, anche quando fondato sulle diversità culturali, non riesce a non mantenere un contegno di paternalistica superiorità. Eppure queste ragazze sono forti, incredibilmente forti: vanno avanti, nonostante l’invisibilità e la solitudine che le avvolgono e la fatica che le consuma. Persino quando vengono a sapere che i soldi inviati alla famiglia in Nigeria sono serviti per acquistare una cassa di buona qualità e garantire un buon funerale al padre. Non a caso la Adichie, che – come molte delle donne delle sue opere narrative – vive tra Nigeria e Stati Uniti, è una delle voci più autorevoli e influenti sui temi del femminismo e della questione razziale: Dovremmo essere tutti femministi e Cara Ijeawele (pure questi editi da Einaudi) sono libri in cui prospetta “un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a sé stessi”, se solo cambiassimo quello che si insegna ai nostri figli.
In questi ultimi racconti, usciti negli Stati Uniti nel 2009 e riproposti nella prestigiosa collana dei Supercoralli, la Adichie ci regala un mosaico estremamente lucido di quello che accade quando la vita ci porta lontano dai luoghi che sono in noi.
di Diana A. Politano