La musica è voce nel silenzio, coraggio nella paura, trionfo della luce sulle tenebre. E’ la capacità di volare alto nel cielo della vita senza paura di cadere, trasportati dalle emozioni che le note svegliano nel profondo dell’animo umano. Sono trascorsi alcuni giorni dal meraviglioso concerto dell’orchestra giovanile “Luigi Cherubini”, diretta dal maestro Riccardo Muti, al teatro Petruzzelli di Bari. Programmato inizialmente per novembre 2020 e rinviato a giugno a causa della pandemia, il concerto ha segnato ufficialmente la riapertura del Teatro dopo tanti mesi di incertezza e di vuoto. Perché, senza la musica, senza il teatro, senza la bellezza, è soltanto un vuoto incolmabile. Ma il 2, 3 e 4 giugno, quel vuoto si è trasformato in un’esplosione di vita grazie alla Fondazione Petruzzelli, che ha fortemente creduto nell’evento, e, prima ancora, al maestro Muti, che, della nostra terra, è figlio e ne è orgoglioso. La voglia di ripartire era ben rappresentata dalla Sinfonia n. 3 di Franz Schubert, eseguita in apertura. I giovani strumentisti dell’Ensemble (nato nel 2004 grazie a Muti), tutti sotto i 30 anni ma già evidentemente navigati, hanno dato voce alla freschezza che distingue le prime sei sinfonie di Schubert, composte tra il 1813 e il 1818. Va precisato che la 3° Sinfonia, come la maggior parte delle composizioni di Schubert, fu eseguita postuma molti anni dopo la sua morte.
Di Schubert, austriaco contemporaneo di Beethoven, colpisce l’originalità delle intuizioni armoniche, riscontrabile soprattutto nei 603 “Lieder”, in tedesco “canzoni”. Nei quattro movimenti della 3° Sinfonia, la più breve, prevale la delicata vitalità del “primo” Schubert, impregnata del classicismo di Haydn e Mozart, con alcune allusioni rossiniane, e ancora lontana dalla spiritualità romantica dell’ “Incompiuta”. Durante la breve vita di Schubert, l’Austria attraversava un periodo complesso: erano gli anni della restaurazione e del crollo degli ideali romantici che avevano visto come portavoce Beethoven. Schubert appartiene alla generazione romantica dello smarrimento interiore, che conduce a una ricerca stilistica dove il drammatico titanismo e il ferreo controllo sulle strutture formali non sono più possibili. La 3° Sinfonia si conclude con un Allegro Vivace che sembra introdurre la poetica di un altro romantico, Felix Mendelssohn. La direzione di Muti, esuberante e ambiziosa, dai cenni “toscaniniani”, ha permesso di evidenziare il contrasto chiaroscurale tra i temi sinfonici che s’intrecciano tra loro, dando origine a un’armonia sublime tra musica e pubblico, in un silenzio surreale e mistico. Ma è la 9° Sinfonia “Z Nového světa” – o “Dal nuovo Mondo” – di Antonín Dvořák (1893) la protagonista indiscussa della serata, che ha conquistato la mente e il cuore di tutti i presenti per la sua bellezza. Nata durante il soggiorno del compositore ceco a New York, per dirigere il prestigioso conservatorio musicale della città, la 9° sinfonia rappresenta più di ogni altra l’attenzione di Dvořák verso le “voci del mondo”, quelle melodie popolari custodi di un’anima secolare e nobile. Se le prime composizioni di Dvořák risentono ancora degli influssi di Richard Wagner, ben presto la sua poetica si rivolge al folklore boemo e, nella 9°, agli spiritual e alle musiche indiane, vera – e troppo spesso rinnegata – identità del popolo americano. Commozione pura nell’ascoltare, su tutti, il secondo movimento, alto e soave, ispirato forse da un canto funebre indiano: dopo l’austera introduzione degli ottoni, emerge delicato il tema del corno inglese, carico di nostalgia e di pathos, ripetuto poi dagli archi. Il tema della speranza che ci accompagna tutti i giorni della nostra vita e che non può morire mai. L’esplosione del maestoso quarto movimento, Allegro con fuoco, rimanda al vento che soffia violento sulle praterie americane. Una “summa” dei tre movimenti precedenti, dove il sinfonismo europeo fa da filtro alle melodie dei nativi, amalgamate in un tutto che rende l’opera di Dvořák un invito all’unità tra tutti i popoli della terra. Solo un americano, alcuni decenni più tardi, oserà riprendere (e rielaborare) l’esperimento di Dvořák, con una “Rapsodia” dove gli elementi sinfonici si fondono con i ritmi jazz e blues: George Gershwin. Un bis, la bella Sinfonia dal Don Pasquale di Donizetti, ha sancito il successo del nostro concerto, accolto dal pubblico con una standing ovation. Un plauso alla musica, ma, prima ancora, alla vita che rinasce ed è più alta della morte. Il Petruzzelli, che della rinascita è il simbolo più autentico, ha incorniciato un evento meraviglioso che resterà per sempre nella memoria della città. Grazie, maestro Muti, per credere nei giovani e nella cultura, linfa vitale per il mondo, abbraccio senza fine di cui oggi abbiamo davvero bisogno.
Sebastiano Coletta