“Saint X” di Alexis Schaitkin

Prendi una storia e scomponine la prismatica materia nelle mille facce che essa può offrire al mondo: così Alexis Schaitkin sembra aver voluto procedere nel suo romanzo d’esordio Saint X (Bompiani). Una vacanza da sogno per festeggiare l’inizio del 1995 e fuggire i rigori dell’inverno newyorkese diventa l’atroce momento in cui una famiglia si spezza; l’indescrivibile bellezza dell’immaginaria isola caraibica del titolo lascia il posto al fascino crudele di una natura come intrappolata in uno spaventoso incantesimo mortifero; la morte di Alison (inquieta e bellissima studentessa alla spasmodica ricerca di un’avventura che la renda adulta e autentica) diventa luogo metafisico a partire dal quale le vite di tutte le persone intorno a lei vengono percorse – se non da una scossa che le distrugge – da un fremito. Saint X è al contempo romanzo di formazione (lì dove raccoglie il racconto in prima persona di Claire, sorella minore di Alison) e opera corale in cui ad ogni capitolo è dato il compito di riportare la voce di coloro che sono stati raggiunti dalla potenza d’urto della scomparsa di Alison. Non conta tanto attribuire colpe e responsabilità: la vita, nei modi che solo lei è capace di congegnare, mette Claire di fronte alla possibilità di «scendere nell’abisso da sola per riemergere con la verità, a tutti i costi». Clive Richardson è uno dei due giovani camerieri del resort di lusso incriminati, e poi scagionati, dell’omicidio di Alison e Claire lo ritrova casualmente a New York alla guida di un taxi. Inizia a pedinarlo, seguendolo attraverso una città fino a quel momento segreta («il panorama alterato dal valore di ogni minuzia»), verso i fantasmi che dirigono le loro rispettive vite e tutte le voci lontane, portate dal mare e dal vento e dalla memoria, che ti ricordano chi sei. Soprattutto Claire prende atto di quanto l’inconsapevole raggio d’influenza di quell’uomo schivo e tormentato si allarghi sulla sua stessa vita – su quella combinazione di nodi irrisolti e inconfessate solitudini che è un po’ la vita di ciascuno («nessuno si osservava troppo da vicino, evitavamo di conoscerci fino in fondo»). Se la pluralità dei punti di vista che affollano il libro contribuisce a indagare le ragioni e a ricostruire gli eventi, se si ottiene infine la verità, resta tuttavia da chiedersi a cosa si sia rinunciato per ottenerla e per ultimo accettare che «alcune verità non saranno mai sufficienti a risolvere i misteri che le hanno precedute». Tutta un’illusione, dunque? Nient’affatto: la certezza, piuttosto, che la verità «non può darci nulla che non siamo in grado di conquistarci da soli. Alla fine, siamo noi a decidere. Di vivere. Di andare avanti», di odiare e di amare per sempre.

 

Diana A. Politano

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