Riceviamo e pubblichiamo la risposta dell’avvocato Fabio Leoci alla lettera delle avvocatesse del Comune Guarino e Canepa (https://www.newspam.it/brle-avvocatesse-del-comune-rispondono-a-leoci-il-collega-o-non-conosce-la-legge-professionale-o-ce-qualcosa-di-diverso-dietro-la-dichiarata-invidia).

Raccontavo di me e dei miei sogni, ed invece devo aver involontariamente causato la reazione di un malessere di cui però non ero a conoscenza.
Mi dispiace molto che le stimate Colleghe Avv. Guarino ed Avv. Canepa, si siano sentite in qualche modo oggetto indiretto del mio intervento, poiché, in verità, non avevo affatto pensato nessuna delle cose che hanno evidenziato nella loro nota ( dico “nota” perché non avevano davvero nessuna necessità di rispondermi) e mi hanno posto di fronte ad una interpretazione ovvero ad una lettura del tutto “diversa” di ciò che in realtà ho raccontato.
L’intervento, naturalmente ironico, ma evidentemente per me mirato esclusivamente a rilevare che troppi dipendenti del Comune, dirigenti o meno, siano così “causisti” nei confronti del proprio datore di lavoro, tendeva ad evidenziare questo specifico aspetto, ponendomi nei panni di chi poi si trovava costretto, dall’interno dello stesso Datore di lavoro, a difenderne gli interessi (e non già che non lo possa fare, ma piuttosto di quanto possa esser difficile).
Se la semplice locuzione “incompatibile” abbia poi potuto suscitare dei dubbi, financo in ordine alla mia conoscenza della legge professionale, personalmente credo sia solo una enfatizzazione letterale di una interpretazione troppo rigorosa: nessuno hai mai detto che non si possa difendere il comune con i propri avvocati interni, ben consapevole della loro totale indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente, ed aggiungo anche con contratto di lavoro che dovrebbe garantire l’autonomia e l’indipendenza di giudizio intellettuale.



Detto questo, però, mia sia consentito affermare che dal tenore del mio intervento risultava soltanto da un lato, ironicamente, un avvocato fortunato ad aver tante cause, dall’altro, invece, proprio il difficile compito (al punto di non voler più quel cliente) di una difesa soggettivamente influenzata dall’appartenere allo stesso datore di lavoro, e per di più, avendo brevissimo lasso di tempo per poterla preparare.
A me sembrava chiaro e pacifico, ma mi rendo conto che la lettura fatta da occhi non incentrati alla ironicità del racconto, o meglio al semplice spirito di denuncia di un pericolo anomalo di difficile comprensione, possono aver indotto ad una interpretazione assai diversa e molto lontana da quanto in realtà si narrava.
Insomma la incompatibilità, intesa come quella situazione di difficile coesistenza oppure che mal si concilia, secondo il mio racconto (per altro inserita in una piccola parte del racconto molto più lungo e generico), non andava certo intesa nel senso meramente preclusivo formale, quanto evidentemente, in quello morale oggettivante rinveniente dal comune datore di lavoro, dallo stesso luogo di lavoro, dalla quasi certezza di conoscere la parte ecc., lungi quindi dal considerare che la figura dell’avvocato interno (mai menzionata) non possa patrocinare quella specifica causa anche con successo (mai alluso o menzionato), tant’è che asserivo un mio “imbarazzo” e non invece un divieto.
Se poi in Comune ci siano situazione che noi comuni cittadini non conosciamo, come quella che viene evidenziata dalle Colleghe in riferimento ai Dirigenti, sono ben lieto di apprendere che le medesime siano impegnate con “coraggio” alla tutela dei diritti del Comune anche nei loro confronti, ed anzi non soltanto è giusto, ma sopratutto doveroso.
Non era mio intendimento discutere degli avvocati dipendenti del Comune, ma come si legge chiaramente dall’intervento, di coloro i quali fanno causa al Comune (insomma il contrario) compresi i concittadini e non solo i dipendenti o i dirigenti, chiedendomi, anche con ironia, come mai esista questo stato di cose.
Non avevo affatto preso in considerazione, come invece mi fanno notare le due Colleghe, della problematica, da me soltanto sfiorata indirettamente, afferente l’avvocato dipendente del Comune (poiché io non lo sono e mi immaginavo solo un cliente facoltoso & litigioso) che nella realtà giuridica pone in luce un aspetto nevralgico ed ancora non ben definito dettato dalla mancanza di una disciplina sistematica, coerente e chiara del ruolo delle avvocature pubbliche e della posizione giuridica dell’avvocato, che alla fine, è l’unico soggetto della P.A. sottoposto allo stesso tempo ai doveri del dipendente ed a quelli del professionista.
A questo proposito, infatti, esiste e c’è giurisprudenza del c.d. conflitto tra autonomia e subordinazione dell’Avvocato dell’ente pubblico, disciplinata da una parte dalla legge del 2012, ma anche in riferimento ai principi del buon andamento della PA di cui all’art. 97 della Costituzione: ma questo è un’altro e diverso argomento di cui non mi sono interessato.
Ho provato a rileggere con più attenzione cercando quella “parte offensiva” del mio intervento, ma non ci sono poi tanto riuscito perché il riferimento a sospetti sulla “correttezza professionale”, a non “dichiarate intenzioni” ed addirittura a “vergognosi sospetti”, salvo quella breve parte di cui ho detto innanzi, considerato il contesto molto più generale in cui si parlava dei cittadini, non è davvero ravvisabile. Mi pare che l’interpretazione fatta dalle Colleghe, “ma da me mai dichiarata”, sia eccessiva e mal si pone nel contesto in cui invece andavano semplicemente lette in buone fede le preoccupazioni di un elevato contenzioso ed in particolare di quel contenzioso proveniente dagli stessi dipendenti, oltre a tutto il resto.
In fine, tolta la premessa di secondi fini, di interpretazioni diverse, di intendimenti tesi a fini diversi ecc., è vero che io (e ribadisco, io) se fossi l’avvocato costretto a difendere il cliente contro una persona che mi ritroverei quotidianamente ad incontrare perché lavora per lo stesso soggetto che devo difendere, preferire che lo facesse un terzo estraneo, e non perché non possa essere ugualmente bravo, ma solo perché caratterialmente (l’imbarazzo, insomma) mi porterebbe ad una semplice scelta di opportunità.
Tutto qui, niente di più e niente di meno.
Avv. Fabio LEOCI




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