BRINDISI – Riceviamo e pubblichiamo nota di Sinistra per Brindisi, a firma di Claudia Nigro e Luca Ruggiero, sulla vicenda caporalato.
“A volte ci si dimentica delle brutalità che ogni giorno si ripetono. O si tende a rimuoverle perché non pensarci fa vivere meglio. Poi la realtà viene sbattuta in faccia, con forza. E fa ancor più male perché sorge il dubbio (o la consapevolezza) di aver coscientemente chiuso gli occhi per non vedere ciò che accade nel giardino della propria casa. ‘Alle femmine pizza e mazzate ci vogliono, altrimenti non imparano. E ancora, ‘Femmine, mule e capre tutte con la stessa testa’. Sono frasi estrapolate dalle intercettazioni ambientali, in tutta la loro crudezza. L’inchiesta della Procura di Brindisi ha portato a quattro arresti con l’accusa di intermediazione illecita, cioè caporalato. L’inchiesta era partita grazie alla denuncia di una donna che, dopo la banale e legittima richiesta di regolarizzazione del contratto di lavoro, è stata picchiata dai caporali. Atteggiamenti violenti e mafiosi, di ricatto costante, approfittando delle condizioni di difficoltà economiche e sociali nelle quali versano le 15 donne impiegate. I fatti accertati sono questi: le donne venivano prelevate da Villa Castelli e da altri comuni della provincia brindisina per essere condotte a Turi, in provincia di Bari, ed essere sfruttate nei campi di ciliegie e nelle vigne. Lì lavoravano più di otto ore al giorno (nonostante il contratto ne prevedesse sei e mezzo) per otto mesi continuativamente, domeniche e festivi inclusi, e venivano scalati dal compenso anche 8 euro per il trasporto. Percepivano 38 euro al giorno invece dei 55 previsti. Sfruttate, sottopagate, intimidite, ricattate e minacciate. È ovvio che non possa essere trattato come un episodio di cronaca giudiziaria. Alla base ci sono problemi culturali e politici, radicati nella società e nel nostro territorio, di cui ciascuno deve farsi carico. Lo sfruttamento si lega, in modo indissolubile, alla mancanza di alternative valide di lavoro e di sussistenza. Il confine diventa labile tra sfruttamento, abusi sessuali e schiavismo. Le donne italiane sfruttate, nelle tre regioni a maggior vocazione agricola (Puglia, Campania e Sicilia), sono almeno 60mila. E il numero delle italiane è in vertiginosa crescita rispetto a quello delle straniere. Nella sola Puglia se ne contano circa 40mila. Donne usate come bestie da soma, abusate, massacrate. La divaricazione delle disuguaglianze, il dilagare della povertà, la continua riduzione delle opportunità, che riguardano la vita della maggioranza delle persone, si acuiscono ancor di più se si osservano le differenze di genere. Le donne percepiscono un salario medio inferiore a parità di mansioni, lavorano più ore al giorno caricando sulle proprie spalle il lavoro di cura senza alcun riconoscimento salariale, non sono libere di scegliere di diventare madri perché vengono licenziate a causa di contratti che non riconoscono le dovute tutele. E le frasi estratte dalle intercettazioni non sono schifoso folklore, ma il sintomo di una subcultura da estirpare con un processo lungo di consapevolezza ed informazione che deve vedere tutti coinvolti. La legge sul caporalato è un piccolo passo, ma bisogna ripensare profondamente il rapporto tra mondo del lavoro e rappresentanza politica. Per questo chiediamo che le istituzioni, gli enti e le organizzazioni coinvolte si costituiscano parte civile al processo e chiediamo che si utilizzino tutti i mezzi necessari affinché le donne che hanno avuto e avranno il coraggio di denunciare questi abusi non vengano mai lasciate sole e abbiano il sostegno dell’intera comunità”.