BRINDISI – Secondo appuntamento della rassegna “Luci, Voci & Ombre” del Teatrodellepietre di Marcantonio Gallo e Fabrizio Cito, realizzato con il sostegno di Enel e Associazione Maria Cristina di Savoia Convegno di Brindisi e patrocinato dal Comune di Brindisi e dall’Arcidiocesi di Brindisi. Dopo l’appuntamento di dicembre nella Cattedrale con la performance “Diario di un Santo” ispirata alla vita di San Teodoro d’Amasea, il 28 gennaio alle ore 19, nella Chiesa del Cristo a Brindisi andrà in scena “Autobiografia non autorizzata di C.B.”, liberamente ispirata ad un racconto di Raffaele Nigro.
Un teatro senza spettacolo questo di Marcantonio Gallo, in cui la voce è la sola protagonista, e dove la funzione dell attore è solo quella di trasferire il corpo/parola attraverso la potenza del suo timbro – un grido, un soffio, un sussurro – che attraversa la vita e la evidenzia come solo a teatro può succedere. Un attore, un microfono e “niente più del vuoto di un misterioso non-vissuto”, come diceva il grande Carmelo Bene, presenza/assenza evocata da Marcantonio Gallo, che affronta in solitudine la scena, con frammenti di pensieri che si incrociano e dialogano con la poesia “per pochi istanti o per l’eternità” con una voce fuori campo che rappresenta l’altrove, di sicuro l’altro da sé.
Con una idea di teatro che viene sviscerata fino ad essere fraintesa, il testo ripercorre l’esperienza terrena di un grande attore, mostrando quanto l’uomo/attore si dimostri incapace di rapportarsi alla transitorietà della sua stessa vita, rimanendo fermo in una situazione di attesa e di straniamento. In una parabola in cui si confondono vita e morte, passato e presente, origine e specie, l’emotività effimera del teatro diventa la base di una drammaturgia rarefatta, ma allo stesso tempo potente e intimista. Con un linguaggio misuratamente provocatorio, le parole si fanno solenni e poetiche: qua e/o là, si sondano i rapporti umani e tutto ciò che ne consegue. Il pensare è il dire e viceversa. I percorsi interiori e gli spazi vuoti del non detto, così densi di tensione drammatica, diventano buchi neri in cui perdersi, come accade quando soltanto quando si esiste davvero. Il linguaggio è sospeso, qui conta l’affabulazione, il timbro della voce, la profondità da cui arrivano i suoni di un mondo sospeso, e che non accade, assumendo il tono ironico e malinconico della non-esistenza.
Perché il vero fine del teatro, all’origine, non era lo spettacolo ma un transfert in un altrove attraverso la voce, che nessuno sa e può vedere, ma può solo provare a sentire. Lá, altrove, in questo al di là. E per riuscirci occorre solo respirare come il teatro stesso insegna.
“Non fiori signori, ma opere di Bene”.