Trivellazioni: via libera a nuovi pozzi anche vicino alle coste. Effetti collaterali del ‘Renzismo’

ROMA – Il Pd renziano ci ricasca e conferma la sua particolare sensibilità rispetto alle esigenze delle lobby che operano nel campo delle energie fossili.

Con Decreto Ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 aprile scorso, infatti, il Governo allarga le maglie anche sulle ‘trivellazioni’ entro le 12 miglia. Si ricorderà che il referendum sulle trivelle dell’aprile scorso verteva sulle concessioni oltre le 12 miglia, ed il mancato raggiungimento del quorum permise alle compagnie di proseguire con le attività estrattive oltre la scadenza della concessione: in soldoni, fino all’ultima stilla di petrolio. Per addolcire la pillola, in quel periodo Renzi si fece garante del mantenimento dello status quo rispetto alle condizioni estrattive entro le 12 miglia. Esattamente un anno dopo, invece, il Governo ha deciso di mettere mani anche alle concessioni vicino alla costa, disponendo che “sono consentite, nelle predette aree, le attività da svolgere nell’ambito dei titoli abilitativi già rilasciati, anche apportando modifiche al programma lavori originariamente approvato, funzionali a garantire l’esercizio degli stessi, nonchè consentire il recupero delle riserve accertate, per la durata di vita utile del giacimento e fino al completamento della coltivazione, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. Cosa vuol dire? Significa che se ho bisogno di ulteriori pozzi rispetto alla concessione originaria, posso procedere in nome della funzionalità delle operazioni estrattive.




Ciò, contravviene a quanto statuiva il Consiglio di Stato nel 2011: “le concessioni esistenti possono continuare a estrarre entro le 12 miglia fino a esaurimento della capacità del bacino petrolifero o fino a quando lo considerano produttivo. Ma sempre nel rispetto del progetto originariamente autorizzato”.

Il Governo Gentiloni pare quindi prediligere la continuità assoluta con il governo precedente, durante il quale si è cercato in ogni modo di accentrare le scelte in campo energetico e svincolarsi dalla previsione costituzionale che, in materia di energia, obbliga il Governo ad operare secondo una leale collaborazione con le Regioni, addivenendo ad un’intesa con le stesse. In realtà, già attraverso il Decreto Sblocca Italia il Governo provò a far rientrare le concessioni sulle trivellazioni tra le opere di interesse nazionale, le quali, attraverso l’introduzione di una clausola di supremazia, si sarebbero così potute realizzare senza la previa intesa con le Regioni. Queste ultime, però, in virtù della competenza concorrente in materia di energia, sollevarono il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale: il Governo, pertanto, fu costretto a desistere dalle sue intenzioni.

Qualche mese dopo, però, il Governo provò a costituzionalizzare quel principio attraverso la riforma costituzionale, mediante la quale lo Stato avrebbe avocato a sé la competenza esclusiva in materia di scelte energitiche e di grandi opere.

Venuto meno anche questo tentativo, adesso il Governo ci riprova con il nuovo Decreto sulle trivellazioni: è certo, tuttavia, che la prima concessionaria che deciderà di approfittare del nuovo decreto si troverà di fronte la pronta impugnazione dell’Ente regionale di riferimento.

Insomma, se a questo quadro si aggiunge lo scandalo delle estrazioni in Basilicata che portò alle dimissioni del Ministro Guidi, viene difficile pensare ad un PD lontano dai poteri forti.

Andrea Pezzuto




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