“Giuro solennemente di adempiere con fedeltà all’ufficio di presidente degli Stati Uniti, e di preservare, proteggere e difendere la Costituzione al meglio delle mie capacità”. E’ con queste parole, previste dall’articolo 2 sezione 1 della Costituzione statunitense, che Donald John Trump è diventato ufficialmente il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. La cerimonia si è tenuta ieri, 20 gennaio, sulla scalinata del Campidoglio, a Capitol Hill, sede del Congresso a Washington D.C..

La lunga giornata che ha visto l’avvicendamento di Trump con il Presidente uscente Barack Obama è iniziata in mattinata con lo scambio di consegne tra i due, alla Casa Bianca. Tra i presenti lo speaker della Camera, il repubblicano Paul Ryan, la leader dei democratici alla Camera Nancy Pelosi, il leader della maggioranza in Senato, il repubblicano Mitch McConnell, e quello della minoranza, il democratico Charles Schumer. “Che piacere vederla, congratulazioni”, sono state le parole con le quali Obama ha accolto Trump, mentre la moglie, Melania, ha offerto in omaggio una scatola di Tiffany alla oramai ex first lady, Michelle, visibilmente imbarazzata.

Nel frattempo a Capitol Hill era tutto pronto per accogliere Trump e consorte. Ad attenderli, oltre alla folla di cittadini, gli ex presidenti Jimmy Carter, Bill Clinton e George W. Bush e la sfidante alle ultime elezioni Hillary Clinton, la quale non ha voluto rilasciare dichiarazioni alla stampa ma ha affidato a Twitter il suo pensiero: “Sono qui per onorare la democrazia e i suoi valori duraturi. Non smetterò mai di credere nel nostro paese e nel nostro futuro”.

Come da protocollo, Trump ha poi declamato il suo discorso alla folla. Non un capolavoro di arte oratoria, come ha da subito dimostrato nella sua campagna elettorale dove ha utilizzato un linguaggio pragmatico, più in sintonia con il popolo al quale si è rivolto, mettendo in risalto la sua contrapposizione all’establishment istituzionale, politico ed intellettuale.

Dopo il preambolo iniziale, dove sembrava quasi tendere la mano al suo predecessore (“gli Obama sono stati magnifici, grazie a voi Barack e Michelle”), Trump è andato dritto per la sua strada, ribadendo ancora una volta i punti cardine della sua azione politica, in sostanziale continuità con la campagna elettorale. Motivo conduttoredi tutto il discorso è stato il primato americano; “America first”, ha più volte ribadito, non lasciando dubbi su quale sarà il faro guida della sua azione politica. Le questioni nazionali prima di tutto quindi, in ambito economico (comprate e assumente americano, nessuno deve rimanere indietro ha più volte ribadito) e in tema di sicurezza nazionale (soprattutto nei confronti del terrorismo islamico, “per sradicarlo dalla faccia della terra”).

Aspetto ancor più rilevante è stato senza dubbio l’attacco sferrato all’establishment politico (“ha protetto se stesso, non le imprese”), accusato di inettitudine e additato come primo responsabile della crisi economica che ha colpito ampie fasce di popolazione (“la middle class è stata tagliata fuori dalla redistribuzione della ricchezza”). Un attacco alla politica quindi (“basta con i politici che si lamentano e non fanno nulla per cambiare”), non solo avversaria, e senza mai citare il Partito Repubblicano, di cui Trump fa parte ma con il quale non ha mai condiviso buoni rapporti, tanto da essere considerato come un corpo estraneo. Aspetto questo che, secondo alcuni osservatori, potrà configurare non pochi problemi anche alla luce delle aspre critiche rivolte dai senatori John McCain e Marco Rubio nei confronti della nascente amministrazione.

Poi un riferimento chiaro al popolo – “stiamo ridonando il potere al popolo […], da ora tutto cambia. E’ il vostro momento, vi appartiene” – al quale promette lavoro e la difesa dei confini nazionali (“riporteremo l’occupazione e i nostri confini, torneremo a sognare”).

Infine il riferimento alla fedeltà verso la nazione con un richiamo biblico sull’armonia e la solidarietà, contro la paura per poi chiudere con queste parole: ”agli americani di tutte le città, vicine e lontane, piccole e grandi, da oceano a oceano: non verrete più ignorati. le vostre voci e le vostre speranze, i sogni e le aspettative definiranno il sogno americano e ci guideranno in questo percorso. Renderemo questo Paese prospero, sicuro, grande, grandioso”.

Un discorso che ha quindi confermato le attese, tra nazionalismo, protezionismo e sostanziale isolazionismo che mette tutti nelle condizioni di dover attendere le prossime mosse politiche, quando ci sarà da agire concretamente. I problemi degli Stati Uniti sono molteplici, vedremo se il neo Presidente sarà coerente con quanto promesso o dovrà, come immaginabile, fare i conti con una realtà ben più complessa da quella da lui stesso delineata.

Intanto voci vicine alla Casa Bianca fanno sapere che Trump ha già firmato un decreto esecutivo, diretto alle agenzie governative, per ridurre il peso dell’Obamacare (legge approvata nel 2010 dopo una faticosa mediazione, volta ad estendere la copertura sanitaria a milioni di cittadini americani), voluto da Barack Obama. Obiettivo del decreto, si legge, è quello di “creare un mercato di assicurazione sanitaria più libero e aperto”. Di fatto, al momento, questo decreto non cambia nulla, essendo prerogativa del Congresso cancellare o modificare la legge sulla copertura sanitaria. Né ci dice molto sua quali saranno le reali intenzioni di Trump. Anche se qualche idea possiamo già farcela.

 

Ernesto Rizzo
Redazione

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