Vincenzo Sofo (Lega): “Più che Salvini, sia messo in discussione chi lo consiglia al Sud”

I risultati delle ultime elezioni regionali hanno scatenato il dibattito sul futuro della Lega e sulla leadership di Salvini. Un tema, quest’ultimo, che rischia di portare fuori strada rispetto ai veri correttivi da adottare. Ecco perché ritengo sbagliato oggi mettere in discussione Salvini. Ma ovviamente, se si vuol correggere il tiro, qualcosa da mettere in discussione c’è ed è innanzitutto chi lo ha consigliato al Sud. 

Perché oggi il vero tema che la Lega deve affrontare se vuole conservare la sua dimensione nazionale – e dunque la leadership del centrodestra – è il suo progetto nel Mezzogiorno, essendo evidente che fallendo il consolidamento in questa terra Salvini perderebbe il ruolo di leader della metà destra (ma intera) dell’Italia. Mi fa piacere dunque che ora molti miei colleghi si stiano rendendo conto che nella parte bassa del Paese – cosa che segnalo da tempo – si sia sbagliato approccio, sentenza resa evidente dai dati delle regioni meridionali passate dal giudizio elettorale di carattere territoriale: Puglia, Campania e Calabria.

Nel 2019 il consenso dei pugliesi era stato del 25,3%, un anno dopo siamo sotto il 10%. Stesso discorso vale per la Campania, dove alle europee la Lega si attestava sopra il 19% mentre alle regionali è scesa al 5,6%. Ma ancora più eloquente è il caso Calabria dove lo scorso fine settimana la Lega ha fatto il terzo giro di boa passando dal turno amministrativo di due comuni molto importanti: Crotone e soprattutto Reggio Calabria. Nel 2019 alle europee la Lega è stata votata dal 22,6% dei calabresi: a Crotone dal 21,5% a Reggio dal 22,4%. Un anno dopo alle regionali è scesa al 12%: a Crotone il 14,3%, a Reggio l’8,2%. Lo scorso fine settimana alle amministrative a Crotone ha preso il 3,6% e a Reggio, nonostante esprimessimo il candidato sindaco, il 4,7%.

La colpa di questo calo tuttavia non è del leader del Carroccio bensì di chi lo ha danneggiato consigliandolo e gestendogli il Sud. La verità infatti è che la gente del Sud si affiderebbe volentieri a Salvini ma è meno contento di affidarsi a chi rappresenta Salvini su quei territori. Innanzitutto perché è evidente che a nessuno piaccia farsi comandare da qualcuno che non sia espressione del proprio territorio, soprattutto se distante dalla propria cultura, tradizione, mentalità. Perché se già un bergamasco difficilmente apprezza di essere gestito da un bresciano, figuriamoci quanto un calabrese possa apprezzare di essere gestito da un bergamasco. Soprattutto al Sud, terra talmente disperata da aver bisogno di qualcuno che si batta per lei con amore, passione e spirito di appartenenza. E’ il principio di sovranità e di autodeterminazione che – noi che lo difendiamo politicamente in Europa e in Italia – dobbiamo essere capaci ad applicare all’interno del movimento. 

Anche perché la non conoscenza di un territorio, soprattutto in un’area complessa come il Sud, spesso porta i “commissari” forestieri a tre peccati mortali:

  1. Per ansia di mostrare al proprio leader, nominare senza adeguata contezza del contesto affidando il movimento a gente senza alcun radicamento, a riciclati, a volponi in cerca di taxi;
  2. Per evitare errori che scatenino le ire del proprio leader, non compiere quella fondamentale opera di ricerca, inclusione e selezione di nuova classe militante e dirigente necessaria per far crescere il movimento;
  3. Per assicurarsi di restare necessari al proprio leader, impedire la crescita di vera classe dirigente locale capace di gestirsi autonomamente preferendo la creazione di piccole coorti di adulatori da esibire giusto per mostrare il minimo sindacale.

Tre errori che portano inevitabilmente a una conseguenza: la mancanza di una valida azione politica su quei territori, la mancanza di un’offerta di proposte che sappia andare oltre le classiche battaglie generaliste e sollevare le necessità locali. La non capacità di agire efficacemente da sindacato territoriale.

Il tutto cullandosi del fatto che tanto ci pensa la popolarità di Salvini a far funzionare automaticamente le cose senza bisogno di altri sforzi. Rischiando così di trasformare con questo atteggiamento l’iniziale positiva sensazione di arrivo in aiuto che la Lega aveva suscitato nei meridionali in sensazione negativa di colonizzazione. Creando così un danno a chi? Proprio a Salvini.

Il mea culpa dunque dovrebbe farlo chi da Salvini era stato chiamato a far crescere politicamente questi territori. Non lui, a cui invece ora – per risollevarsi – tocca lo sforzo di dover, lì, ricominciare daccapo. Affidandosi stavolta a chi è sul posto e a chi davvero quel posto lo sa interpretare e rappresentare. 

Anche perchè spingendolo verso una nuova Lega Nord (anche se salvandone la forma nazionale perchè, come ha detto qualcuno, fa arrivare più voti al Nord) si arriverà a due eventi: far perdere a Salvini lo scettro di leader nazionale e abbandonare un popolo, quello del Sud, che ha estremo bisogno di una vera rappresentanza politica.

Vincenzo Sofo

Europarlamentare Lega

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