In uno dei mie incontri a scuola con gli adolescenti abbiamo trattato la differenza uomo donna. Una proposta dei ragazzi. Entusiasti. In un brainstorming sono venuti fuori tanti aggettivi che, ad esempio per la figura femminile andavano dall’essere timida, delicata, emotiva, determinata, sottomessa, indifesa, vanitosa e sottovalutata. La figura maschile viene dipinta come forte fisicamente, padrone, geloso, violento, lavoratore, duro di sentimenti e con alta autostima.
A bene vedere qualche alunno ha esclamato che potrebbe sembrare l’immagine di un uomo mostro da una parte e di una debole donna dall’altra. Purtroppo queste rappresentazioni sono reali e, però, sono anche legate a stereotipi molto radicati nella nostra cultura provenienti dalla storia dell’uomo. Etichette, stampini riprodotti quasi fedelmente di generazione in generazione passando attraverso l’educazione ricevuta. “Mi raccomando i maschietti non piangono” diciamo ad un bambino, “Sei una donna, è l’uomo che deve mostrare virilità. Fai pagare sempre lui se uscite, fatti venire a prendere, fallo aspettare” diremo ad una ragazza alle prese col primo fidanzatino.
È così crescendo con questi miti e molti altri, l’uomo sente di ricoprire, forse a volte suo malgrado, quell’immagine, e la donna entrare in quei canoni stretti. Dalla discussione con i ragazzi della scuola emerge una riflessione: queste predisposizioni “culturali” possono portare alla violenza sulle donne? Certamente no, questo non basta. Una componente importante è il carattere, il tipo di educazione ricevuta sul piano emotivo. Un individuo che non è stato abituato a esprimere e riconoscere i propri sentimenti, pensieri, che non ha ricevuto calore, che pur di avere attenzioni doveva essere sempre all’altezza delle situazioni formali, può covare tanta rabbia e sfiducia da impostare qualsiasi relazione affettiva sulla freddezza, o sull’emettere inconsapevolmente comportamenti aggressivi, come di possesso dell’altro, il controllo continuo estenuante. Non sapendo riconoscere quello che prova, non sa neanche come esprimerlo e passa alla violenza verbale, fisica indiretta. Anche un individuo abituato fin da piccolo alla denigrazione continua delle proprie abilità, all’idea che il mondo sia un pericolo, è che è meglio sottostare, quasi non avendo diritti. potrebbe da adulto normalizzare la sottomissione. In ogni caso c’è mancanza di fiducia, autostima, paura terribile di perdere l’altro: da una parte si perpetua l’aggressione, la minaccia, dall’altra l’annullamento di sé pur di: garantire un padre ai figli, non disgreare la famiglia, non ricevere più botte, sperare che il compagno cambi. Eppure il senso di colpa, la vergogna, il disagio personale, il terrore e l’angoscia sono imperanti nella vita e nel cuore di queste donne. Dunque il carattere, abbiamo detto, non solo, che viene rinforzato dai pregiudizi, il senso comune, quasi come se fosse “l’unico modo di pensare”. Etichette dalle quali sganciarsi, mettere in dubbio.
Poniamo una riflessione non solo in questo mese di marzo, o per la festa ricorrente. Ci sono diverse iniziative ad esempio giorno 15 marzo a San Vito dei Normanni presso piazza Carducci ore 18, giorno 28 a San Michele Salentino in cui interverranno esperti nel settore che ci possono aprire nuovi orizzonti sul tema della violenza.
Poniamo attenzione ai segnali di allarme che nel quotidiano possono presentarsi. Un po’ come hanno fatto questi ragazzi.Dietro un volto sicuro, sorridente, forte, riservato possono nascondersi ferite e lacrime tormentose, che non hanno il coraggio di chiedere aiuto. Possiamo attivarci noi.